venerdì 28 dicembre 2018

Epifania al museo!

(foto tratta dal sito Listonemag, che ringraziamo)

Domenica 6 gennaio alcune istituzioni culturali del territorio ferrarese hanno aderito alla proposta L'Epifania nei musei gratuiti Ferraresi. Aderiranno all'evento Casa Romei, la Necropoli romana di Voghenza, l'Abbazia di Pomposa, la Pinacoteca Nazionale di Ferrara, il Museo Nazionale Archeologico di Ferrara.
Una ghiottissima opportunità per chiudere in bellezza la parentesi natalizia, visitando gratuitamente luoghi che spesso trascuriamo nonostante l'immediata accessibilità che offrono.
Info più dettagliate a questo link.

lunedì 24 dicembre 2018

Auguri di Buon Natale



La Biblioteca del seminario arcivescovile dell'Annunciazione augura a tutti voi
BUON NATALE e LIETO ANNO NUOVO
con il Messia di Händel

giovedì 20 dicembre 2018

Sull'iconografia della Trinità




Il volume Padri e figli, catalogo della 15a Mostra Internazionale d'Arte di Illegio, contiene un prezioso contributo di Chiara Guerzi, giovane storica dell'arte ferrarese, dal titolo A margine dell'iconografia del Trono di Grazia tra XIV e XV secolo: qualche esempio di ambito bolognese e ferrarese. Ne leggiamo un brano iniziale, corredandolo con la foto della tavola in oggetto


"Sulla tavola con il Trono di Grazia della Pinacoteca di Ferrara, una delle più famose e commoventi del tardogotico padano, il Dio Padre, ieratico e frontale, seduto su un grande trono marmoreo finemente lavorato e coronato dai tipici fastigi a pigna, regge la croce con il Figlio esanime. Lo sguardo è fisso sullo spettatore. Lo Spirito Santo sotto forma di colomba, oggi identificabile solo grazie a minimi residui della pellicola pittorica, occupava lo spazio tra le teste di protagonisti all'incrocio delle assi della croce: una tra le aree del dipinto che più di tutte ha sofferto per l'attacco di insetti xilofagi, assieme al fondo un tempo dorato. Presente nel museo sin dal momento della sua istituzione nel 1837, vanta una provenienza dal collezionismo ferrarese settecentesco, ma nessun indizio soccorre a stabilire l'ubicazione ab origine di questa pala d'altare di medie dimensioni, che testimonia l'esistenza di un altare dedicato alla Trinità cui il committente, identificato dai due signa entro compasso ai lati del suppedaneo, doveva essere devoto. Alla presenza di questa marca epigrafica iterata, incentrata sulla coesistenza delle due lettere capitali «G» e «Ç» è da imputare la denominazione del pittore che, entro il primo decennio del Quattrocento, assunse l'incarico di tradurre figurativamente il dogma trinitario: il cosiddetto «Maestro G.Z.» (normalizzando in «Z» la C cedigliata che compare in seconda posizione).


La tavola incarna quindi il name-piece del gruppo di opere riferite all'anonimo pittore tardogotico, che oggi si tende ad identificare con il documentato pittore ferrarese Michele di Iacobo Dai Carri; questi, che le fonti dicono artista affermato attorno al 1400 e ancora in vita il 15 febbraio 1440, fu pittore di punta della corte di Nicolò III d'Este (1393-1441), richiestissimo dalle famiglie dello stretto entourage del marchese".

Il resto dell'articolo è consultabile presso la Biblioteca, in via Fabbri 410

venerdì 14 dicembre 2018

La miniatura degli anni d'oro a Ferrara


Nel richiamare l'attenzione sulla installazione multimediale presentata alle Gallerie Estensi, che ci consentirà di "sfogliare" sia pure virtualmente quel capolavoro di miniatura rinascimentale che è la Bibbia di Borso, segnaliamo un prezioso volume consultabile presso la biblioteca, pubblicato in occasione delle Celebrazioni del V centenario della morte di Cosmè Tura ed Ercole de' Roberti. Si tratta de La miniatura a Ferrara dal tempo di Cosmè Tura all'eredità di Ercole de' Roberti, Modena, Panini 1998.
A chiosa della segnalazione, abbiamo scelto l'apertura del contributo di Federica Toniolo, "La Bibbia di Borso d'Este: un'officina a Corte e la sua diaspora".

«Fin dal 1450, anno in cui viene nominato signore di Ferrara, Borso d'Este dimostra un grande interesse e una profonda passione per il libro miniato. Egli si fa carico di portare a termine numerose commissioni iniziate da Leonello e ne avvia di nuove mettendo all'opera miniatori già attivi a corte negli anni precedenti quali Giorgio d'Alemagna, Marco dell'Avogaro e Guglielmo Giraldi. È però solo a partire dal 1455 che Borso, forse in questo volendo emulare il padre Nicolò III che pure si era fanno miniare una Bibbia da Belbello da Pavia, dà avvio a una delle più importanti commissioni artistiche mai eseguite a Ferrara, appunto la splendida Bibbia in due volumi, oggi conservata alla Biblioteca Estense di Modena (Lat. 422 = ms. V.G. 12, Lat. 423 = ms V.G. 13). Il codice, al quale il nome del duca rimarrà per sempre associato, per la ricchezza e la qualità dell'apparato illustrativo e per la portata innovativa del linguaggio stilistico apre un capitolo nuovo della storia dell'illustrazione libraria ferrarese e diviene nel contempo evento importante per lo sviluppo di tutta la miniatura padana del Rinascimento; inoltre restituisce uno spaccato esaustivo della cultura figurativa estense, divenuto preziosissimo data la consistente perdita di affreschi e tavole prodotte a Ferrara nello stesso periodo»

mercoledì 12 dicembre 2018

Calvinismo a corte, l'opzione di Renata

(immagine tratta dal sito Ferrara terra e acqua, che ringraziamo)

«Particolarmente seria fu la situazione che si venne a creare nei domini estensi, dove l'eresia - pur attestata anche nell'ambiente universitario ferrarese - trovò il suo centro propulsore soprattutto nell'entourage di funzionari e collaboratori francesi che circondava la duchessa Renata di Francia, convertita al calvinismo, tanto da trasformare la sua corte (dove «fino li gargioni di stalla» sarebbero stati in grado di parlare «de le cose de Scrittura benissimo») in un punto nodale di riferimento per uomini e gruppi del dissenso religioso italiano, in grado di offrire protezione e rifugio a quanti incappavano nei rigori del Sant'Ufficio, per parte loro ben lieti di ricambiare tale ospitalità - si lamentava nell'ottobre del '48 un vescovo impegnato nella lotta all'eresia - addottrinando «quella duchessa de fina theologia». Lo stesso Calvino, a quanto pare, soggiornò brevemente a Ferrara nel 1536, all'indomani della pubblicazione a Basilea della prima edizione dell'Institutio, l'anno in cui l'arresto di alcuni «luterani ribaldi» servitori della duchessa destava grande scalpore, al punto che Ercole II in persona deplorava che si fosse «divulgato per la cittade che tutta la corte di Madama era piena di heretici». Di essa oltre a numerosi francesi, tra cui Lyon Jamet e Clement Marot che qui lavorò alla sua celebre traduzione dei Salmi, facevano parte l'umanista Fulvio Pellegrino Morato e la figlia Olimpia, poi sposatasi con un medico tedesco addottoratosi nella città estense e con lui esule in Germania nel '48».

Massimo FirpoRiforma protestante ed eresie nell'Italia del Cinquecento, Bari, Laterza 2004. Il volume è consultabile presso la biblioteca, ma pure accessibile al prestito esterno, alle norme di regolamento.

lunedì 10 dicembre 2018

Per le vie del ghetto. Storie e luoghi della comunità di Ferrara

(foto tratta dal profilo Instagram lu_crizia)

Esce in questi giorni la guida "Per le vie del ghetto. Storie e luoghi della comunità di Ferrara", volume curato da Rita Castaldi. A Ferrara, la segregazione forzata nel ghetto entrò in vigore definitivamente solo nel 1627 - relativamente tardi, rispetto ad altre città dell'Emilia Romagna. 

Leggiamo, nel contributo di Fulvio Papouchado reperibile in rete, "Di tanto in tanto le aree destinate agli ebrei venivano ampliate per far fronte al loro aumento numerico ma conservarono sempre il ruolo di separazione dai cristiani, oltre che di salvaguardia dell’identità giudaica e di protezione dagli occasionali assalti della plebe. I “serragli” ospitavano tutte le istituzioni religiose e amministrative necessarie per il prosieguo dell’esistenza comunitaria, quali la macelleria kasher, la sinagoga, la scuola elementare, il forno delle azzime, gli enti di autogoverno e il tribunale rabbinico.
[...]
La cultura ebraica non fu soffocata dalla clausura nel ghetto. Molti ghetti ospitavano le accademie nelle quali era tenuta viva la cultura religiosa esplicitata soprattutto nelle opere esegetiche e di filosofia. La dottrina mistica della qabbalah fiorì nelle strette vie dei ghetti di Ferrara e Modena offendo un’ascetica evasione dall’opprimente clausura attraverso pratiche spirituali di gruppo. Tra i sapienti rabbini che ispiravano queste riunioni citiamo Leon Modena, Isacco Lampronti di Ferrara, Abraham Rovigo di Modena. Questi esponenti di diverse correnti filosofiche arricchirono la vita culturale italiana mediante la diffusione delle loro opere, scritte in italiano o tradotte dall’ebraico, che oltrepassavano le mura del ghetto e influenzavano in parte la cultura cristiana, anche profana. L’umanesimo ferrarese, ad esempio, fu plasmato anche grazie all’apporto di alcuni ebrei, come il poliedrico Abraham Farissol".

Il volume di Rita Castaldi verrà presentato mercoledi 12 dicembre p.v. alle ore 17:30 presso la libreria Sognalibro di via Saraceno dall'architetto Laura Graziani Secchieri e dal rabbino capo della comunità ebraica di Ferrara Rav Luciano Meir Caro.


venerdì 7 dicembre 2018

La Chiesa del Gesù


Don Armando Blanzieri, parroco al Gesù dal 1979, ha pubblicato nel '91 questo elegante volumetto denso di informazioni sulla storia e l'architettura della chiesa di via Borgoleoni. Ne leggiamo la prima pagina, invitando quanti volessero approfondire a farlo presso la Biblioteca; qui gli orari di apertura.

"La Chiesa del Gesù è tra le più belle di Ferrara. Vi pose la prima pietra il 3 novembre 1570 il Cardinale Luigi d'Este, e fu terminata nel 1580. Era Vescovo Alfonso Rossetti e duca di Ferrara Alfonso II d'Este. Fu costruita per i padri della Compagnia di Gesù che si erano stabiliti a Ferrara nel 1551, ancora vivente il fondatore S. Ignazio. Contribuirono alle spese il duca, la moglie Barbara d'Austria, figlia dell'Imperatore Ferdinando I, e Maria Frassoni, vedova di Lanfranco del Gesso, da S. Ignazio ritenuta la «prima fondatrice» dell'opera dei gesuiti a Ferrara. Due lapidi murate nelle lesene a destra e a sinistra dell'Altar maggiore fanno memoria dei coniugi del Gesso. Fu costruita nel luogo dell'Oratorio chiamato «Casa delle zitelle». La Chiesa fu consacrata il 21 novembre 1599 dal vescovo Giovanni Fontana e dedicata, come voleva S. Ignazio, al Nome di Gesù. I documenti pubblicati dal padre P. Pirri dimostrano che il progetto della Chiesa del Gesù è di Giovanni Tristani e non come si è creduto in passato, sulla base delle testimonianze del 1600, di A. Schiatti. Probabilmente lo Schiatti curò l'esecuzione dei lavori e introdusse, forse nella facciata, qualche variante. 
Di stile classico, la Chiesa fu progettata ad un'unica navata con sei cappelle laterali profonde tre metri, poste sotto grandiosi archi impostati su pilastri decorati da lesene doriche. Sull'elegante cornicione che corre per tutto il perimetro della Chiesa posava un soffitto a cassettoni, dipinto dal Bastarolo e dal Dielaì. Sette finestroni rotondi la illuminano dall'alto. Un grandioso quanto maestoso arco immette nel presbiterio e nel coro costruiti in funzione del monumentale Altar maggiore. Sono questi gli elementi originali che rivelano i caratteri peculiari dello stile architettonico del gesuita G. Tristani. Nel XVII sec. la Chiesa subì consistenti trasformazioni che alterarono le severe e schiette linee cinquecentesche".

Armando Blanzieri, La Chiesa del Gesù, ed. Industrie Grafiche, Ferrara 1991

martedì 4 dicembre 2018

La Chiesa ed il Convento della Rosa di Ferrara


(in foto: come si presentavano i resti di Santa Maria della Rosa dopo i bombardamenti. 
Viale Cavour angolo contrada della Rosa, foto presa dal web)

"I Templari, che nel XII secolo avevano in S. Maria di Betlemme a Mizzana il loro principale insediamento, possedevano pure nel borgo di S. Leonardo presso Ferrara una piccola chiesa con annesso ospizio. La chiesa veniva chiamata S. Maria de Templo ed era dedicata alla Natività della Vergine. L'ospizio od ospedale serviva per il ricovero ed il ristoro dei pellegrini che, in quei tempi lontani, si avventuravano in lunghi viaggi, diretti a santuari od a porti d'imbarco per l'oriente. In alcuni testamenti, soprattutto verso la fine del '200, si fa menzione di S. Maria de Templo che potrebbe però identificarsi sia con la chiesa in discorso che con quella di Mizzana. 
A seguito della soppressione dell'ordine, decretata nel 1312 dal papa francese Clemente V, la maggior parte dei beni immobili dei Templari fu trasferita ai Giovanniti o Gerosolimitani e la stessa sorte toccò verosimilmente anche alla chiesa ferrarese di S. Maria del Tempio. Tuttavia la conferma ufficiale di tale passaggio si ebbe soltanto nel 1448 con la Bolla di Nicolò V che sanciva la presa di possesso della chiesa da parte di Avanzo de' Ridolfi, precettore e rettore delle istituzioni giovannite in Ferrara".

Silio Sarpi, "La Chiesa ed il convento della Rosa di Ferrara", in Bollettino della Ferrariae Decus n. 10 1996.

martedì 27 novembre 2018

La miniatura estense


Nel 1994 la Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara patrocinò la pubblicazione di un saggio di Hermann Julius Hermann su La miniatura estense (ed. Panini), volto ad approfondire la magnificenza della produzione decorativa libraria presso la corte di Ferrara, certamente una delle più rappresentative del Rinascimento padano. Il volume è ovviamente uno scrigno di delizie, e sarebbe impossibile in questa sede riprodurre lo splendore delle illustrazioni. Chi lo volesse consultare personalmente può farlo presso la nostra sede, negli orari di apertura.
Intanto possiamo leggere qualche notizia insieme, quale anticipo di eventuali approfondimenti:
«Il più antico miniatore ferrarese, di cui si conosce l'esistenza, è Giovanni Alighieri, un carmelitano del monastero di S. Paolo a Ferrara. Secondo Baruffaldi aveva decorato con vivaci figurine un codice di Virgilio trascritto da Ugolino de Lentio. Il manoscritto passò dalla biblioteca dei carmelitani di S. Paolo a Ferrara in proprietà del conte Alfonso Alvarotti di Padova e più tardi, presumibilmente, nella biblioteca del Seminario di Padova, dove il codice deve essere andato smarrito.
[...]
Il manoscritto era interessante anche per una nota posteriore da cui risultava che nel 1242 un certo pittore Gelasio di Niccolò de la Masnà de Sancto Giorgio, che aveva imparato a dipingere a Venezia presso Theophanes di Costantinopoli, aveva dipinto per Azzo Novello d'Este e per il vescovo di Ferrara Filippo Fontana. L'autenticità di tale notizia è stata giustamente messa in dubbio sia da Frizzi, sia da Tiraboschi. Essendo il codice attualmente scomparso non possiamo avere nessuna idea precisa sul più antico documento della miniatura ferrarese, nè possiamo verificare se Giovanni Alighieri appartenesse alla stessa famiglia del grande omonimo fiorentino o fosse un maestro veronese».
-segue-

venerdì 23 novembre 2018

Moralia in Job di san Gregorio Magno


Per dono di don Enrico Peverada, già direttore dell'Archivio Storico Diocesano, entrano a far parte della collezione di libri antichi della Biblioteca i tre preziosi volumi di Moralia di san Gregorio Magno, pubblicati a Verona per i tipi di Marco Morone nel 1852. L'edizione reca il sottotitolo Volgarizzati nel secolo XIV da Zanobi da Strata protonotario apostolico, Alla sua vera lezione ridotti e al più agevole studio meglio ordinati da Bartolomeo Sorio P.D.O. di Verona. Edizione divisa in tre tomi.


Zanobi da Strada fu precettore a Firenze poi a Napoli, presso la corte angioina; archivista presso l'abbazia di Montecassino seguì il pontefice ad Avignone dove morì di peste nel 1361, poco prima di aver terminato la sua traduzione dei Moralia. L'edizione veronese si avvale poi della rifinitura di Bartolomeo Sorio, sacerdote e letterato veronese.

È possibile ammirare i tre volumi in biblioteca, alle norme di regolamento.

martedì 20 novembre 2018

Beatrice d'Este 1475-1497


"Beatrice d'Este andò sposa a Ludovico Sforza nel 1491 e morì nel 1497. Nei sei anni della sua presenza a Milano fu compagna solidale con i progetti che il Moro perseguiva e che portarono alla legittimazione del suo potere da parte dell'Impero. Amante del lusso, della caccia, del gioco, volitiva e ambiziosa, fu al centro della vita della corte milanese nel momento del suo massimo splendore".
-dalla quarta di copertina-

Nel 2008 per le Edizioni ETS uscì un pregevolissimo volume che dava conto della giornata di studi  su Beatrice d'Este tenutasi nel 1997 presso l'Università di Pavia, per l'occasione del quinto centenario dalla morte. Al tempo non fu evidentemente possibile la pubblicazione degli atti, cosicchè  se ne fece carico dieci anni dopo Luisa Giordano, coordinatrice del convegno assieme a Renata Crotti. Ne uscì un volume tematico composto dalle relazioni di chi aveva partecipato direttamente, ma aperto a nuovi contributi che si erano nel frattempo andati sviluppando.

Leggiamo una interessante nota di costume dalla relazione di Alessandra Ferrari (p. 46):
"Da un altro personaggio caro alla corte estense, Bernardino Prosperi, apprendiamo che grazie alla sua fantasia senza pari e alle immense ricchezze di cui poteva disporre, Beatrice conservava nel solo castello di Vigevano ottantaquattro abiti, di modo che il suo guardaroba, come ebbe a commentare durante una visita la madre Eleonora, sembrava «una sacristia apparata di piviali».
Tutto questo sfarzo non appagava soltanto i gusti e le inclinazioni di Beatrice, ma nella mente di Ludovico il Moro aveva anche una chiara funzione pubblica, quale espressione della sua potenza e della ricchezza della casata sforzesca".

L'intero volume è consultabile presso la Biblioteca; non è accessibile al prestito esterno.

giovedì 15 novembre 2018

Il Duca Borso d'Este e la politica delle immagini nella Ferrara del Quattrocento


Nel 2007 per le Edizioni Cartografica uscì un prezioso saggio di Micaela Torboli, sul governo di Borso d'Este. Ne riportiamo alcuni passi dall'Introduzione, chi volesse approfondire può consultarlo in biblioteca.

«Borso d'Este, marchese e duca, signore di Ferrara dal 1450 al 1471, non gode del favore degli storici d'oggi. Schiacciato dal confronto con il suo predecessore, l'elegante, colto, raffinato Leonello, e perdente nell'opinione degli studiosi rispetto a colui che gli successe, il fratellastro Ercole I - personaggio giustamente ritenuto di alto profilo - Borso è spesso presentato nei numerosi volumi in cui ci si occupa di lui in modo tale da sottolineare soprattutto i presunti aspetti ritenuti negativi del suo essere e del suo operato. Borso era, secondo questa tendenza critica, di fatto prevalente, vanesio fino all'eccesso, amante dell'adulazione al punto di circondarsi di rado di intellettuali di valore preferendo mediocri pennivendoli disposti a comporre lodi sperticate in suo onore dietro lauti compensi, rozzo ed incolto, tanto da non conoscere il latino. Dietro una facciata amabile avrebbe nascosto una feroce volontà di emergere, accoppiata ad una notevole scaltrezza nutrita dalla sua tendenza all'ambiguità, che avrebbe toccato anche il comportamento sessuale. Ovviamente ci sono dei però. Intanto cito Gundersheimer: "Di certo egli era immensamente popolare. Gli studiosi che hanno trovato la sua cultura scarsa, i suoi gusti convenzionali, il suo governo severo, i suoi giudizi vendicativi e il suo amore di far mostra di sè volgare hanno avuto difficoltà a rassegnarsi a questo fatto assolutamente ovvio", ovvio forse finchè Borso non sarà davvero valutato secondo la mentalità del suo tempo, lasciando da parte considerazioni che non si attagliano adeguatamente alla cultura in cui visse.


Queste critiche serrate a Borso infatti sono quasi tutte di natura moderna, perchè per i ferraresi suoi contemporanei (e per molti secoli a venire, prima di cominciare ad avere una "cattiva stampa") Borso fu un modello inarrivabile di signore perfetto, di gran lunga il più elogiato degli Estensi, e poi rimpianto con fervore, a livello popolare fino ai giorni nostri, e non è raro trovare qualche anziano il quale, deprecando la pochezza dell'oggi, come i suoi antenati afferma con un sospiro "Non è più il tempo del duca Borso!". Pensiamo soltanto al ritratto che di Borso ci tramandano testi non destinati alla conoscenza pubblica, come le Croniche di Ugo Caleffini, dove si legge di Borso appena deceduto che egli era stato "dio della pace, refugio di miseri et socorso di poveri... dio de la liberalitade et dio di poveri huomini... parea in Ferrara che ad ogni persona fosse morto patre et matre". Un formidabile elenco di tutto quanto d'importante e grandioso era stato fatto per la capitale e per i sudditi nei vent'anni di dominio di Borso si trova nel celebre Diario ferrarese, dove il duca viene ancora una volta definito come una divinità in terra»

lunedì 12 novembre 2018

L'alfabeto ebraico, protoplasma del creato


Mercoledi 14 novembre alle ore 17,30 presso la libreria Sognalibro, via Saraceno 43 a Ferrara, avrà luogo un incontro di approfondimento a cura di Rav Luciano Meir Caro, Rabbino capo della comunità ebraica di Ferrara, dal titolo L'alfabeto ebraico protoplasma del creato.
L'ebraico è l'idioma in cui è scritta la Bibbia ed è considerato una lingua sacra. Le lettere ebraiche sono lo strumento adoperato dall'Eterno per creare l'universo e sono depositarie della potenza divina.

Mercoledi 21 novembre sempre alle ore 17,30 si svolgerà un secondo incontro, durante il quale il Rabbino ci parlerà del Midrash: una lettura originale del testo biblico, una sollecitazione ricca di significati inaspettati e di punti di riflessione.

venerdì 9 novembre 2018

Anastasiya Petryshak a Ferrara

(foto tratta dalla pagina Facebook ufficiale dell'artista)

Al Teatro Nuovo di Ferrara domenica 10 p.v. si svolgerà il concerto-evento di Anastasiya Petryshak, giovanissima violinista ucraina naturalizzata italiana considerata tra le più grandi virtuose attualmente in attività. L'artista che recentemente si è esibita a New York, Dublino e Londra al fianco di Andrea Bocelli, sarà accompagnata dall'ensemble "The Strings", composto da 18 musicisti provenienti da 15 diverse nazionalità e risultati i migliori corsisti alla prestigiosa Università delle Arti di Zurigo (ZHdk). Organizzatore dell'evento, don Franco Rogato assistente diocesano alla pastorale giovanile. L'ingresso è gratuito.



martedì 6 novembre 2018

Ferrara navigabile nella Cronaca di Riccobaldo


In anni recenti si è parlato ripetutamente del progetto dell'idrovia ferrarese. Significherebbe il recupero di un'antica vocazione della città, attraversata nel Medioevo da più rami del Po, in maniera significativa soprattutto nella sua parte più antica, la zona della Ripa Grande e del Polesine di Sant'Antonio (l'omonimo monastero insisteva su una vera e propria isola, poi congiunta al resto della città in seguito all'interramento del ramo di Volano, cui contribuì significativamente l'intervento voluto da Niccolò III nel 1401).
Sull'argomento disponiamo di un prezioso contributo di Stella Patitucci Uggeri, uscito nella collana Atti e Memorie della Deputazione Ferrarese di Storia Patria, Serie terza n. 30 del 1984.
Ne leggiamo un breve passo tratto dall'Introduzione:
«Ferrara rappresentò fino alla metà del secolo XII il nodo principale dei traffici idroviari della bassa pianura padana. Ma anche dopo lo sconvolgimento idrografico apportato dalla rotta di Ficarolo la sua importanza restò notevole, anche se la principale diramazione del corso del Po si era venuta ad arretrare di una quindicina di miglia dal sito della città, pur ricadendo sempre dentro il suo territorio.
All'alba del secolo XIV Ferrara appare ancora il centro della rete idroviaria della pianura padana orientale nel quadro tracciato da Riccobaldo nella cosidddetta Chronica parva ferrariensis, anche se vi è palese il rammarico per un mutato assetto politico, che non consente più la libera circolazione delle merci e il completo sfruttamento di quel complesso ed organico sistema di fiumi e di canali ancora in piena efficienza.
Riccobaldo rievoca con accorata nostalgia nella parte storica i floridi commerci, che avevano reso prospera la sua città nel buon tempo antico e che avevano perciò acceso l'invidia e la cupidigia di Venezia...».
L'intero contributo è consultabile, fotocopiabile o scansionabile presso la Biblioteca negli orari di apertura e alle norme di regolamento.

mercoledì 31 ottobre 2018

Celebrazione solenne di Ognissanti



Nell'augurare a tutti una lieta celebrazione della festa di Tutti i Santi, la Biblioteca comunica che riaprirà al pubblico lunedi 4 novembre, nell'orario consueto

lunedì 29 ottobre 2018

Luciano Chiappini su Girolamo Savonarola ed Ercole I d'Este

(foto tratta dal sito Ferraraitalia che ringraziamo)

Nel 1952 Luciano Chiappini pubblicò un contributo dal titolo Girolamo Savonarola ed Ercole I d'Este. Il saggio uscì su "Atti e Memorie" della Deputazione Provinciale Ferrarese di Storia e Patria, Vol. 7 - Parte 3., Nuova Serie. 

Ne riportiamo un breve estratto:
«I rapporti intercorsi tra Savonarola ed Ercole I d'Este  furono tra i più cordiali e rispettosi. Forse non si conobbero di persona, a meno che ciò non sia avvenuto tra il '79 e l'82, durante il soggiorno ferrarese del frate agli Angeli. La prima notizia che ne ha il duca precede di pochi giorni l'arrivo dei francesi di Carlo VIII a Firenze, è infatti datata 5 novembre 1494, consegnata al duca da Manfredo Manfredi, suo corrispondente a Firenze. Dice che a Firenze è ritenuto santo: non ci vuol altro per Ercole che nella lettera del 13 maggio 1495 al Manfredi chiede di consultare Savonarola sulla situazione d'Italia. Fra Girolamo risponde al Manfredi che rifletterà, riservandosi poi di scrivere direttamente al duca. Forse guardava a Ferrara come a un terreno propizio per la sua predicazione. Anche l'umanista pesarese Pandolfo Collenuccio ne scrive con entusiasmo al duca. Ma i sospetti e le irritazioni ufficiali non si fanno aspettare.
Se il confessore ducale, dice Savonarola, scrive al duca circa il veto sulla predicazione e addirittura la scomunica, forse lo hanno condizionato i frati degli Angeli. Affermazione che ci permette di intravvedere una tendenza ostile o perlomeno fredda e sospettosa dei frati ferraresi che, come appartenenti alla Congregazione lombarda, non potevano non disapprovare la defezione di Savonarola e i suoi seguaci dalla stessa con la conseguente costituzione della Congregazione di san Marco, di cui era stato eletto vicario generale».

L'intero articolo è leggibile presso la nostra sede; ricordiamo ai gentili utenti che è possibile anche richiederne la scansione via mail presso uno dei recapiti indicati.

mercoledì 24 ottobre 2018

Insediamenti eremitici nella Ferrara medievale

(la foto è tratta dal sito Ferrara nascosta che ringraziamo)

«Negli anni dell'affermazione "prematura" della signoria estense nel 1240, quando Azzo VII non è ancora ufficialmente il dominus civitatis, l'eremitismo conventualizzato cittadino mette in moto un processo che coinvolgerà tutte le vecchie e nuove convivenze agostiniane non strettamente regolari in nesso di reciproca interdipendenza, e ciò partirà proprio dalla corte, con Beatrice figlia di Azzo VII.
Dal 1254 al 1257 in particolare le eremite di Beatrice, presto trasformate in benedettine sui generis, passeranno da Santo Stefano della Rotta a Sant'Antonio in Polesine, forse precedentemente agostiniano giambonita e appartenente alla nuova congregazione unitaria agostiniana dal 1256. Di qui gli eremitani agostiniani unificati si trasferiscono al vescovile e capitolare S. Andrea.
Nella zona di Sant'Andrea e nelle vicine di Santa Maria in Vado, San Tommaso, San Vitale rinveniremo ben presto e li riscontreremo fino almeno alla metà del '400 numerosi centri eremitici autonomi e più tardi il nucleo più rilevante delle case per le pinzochere che va a raggrupparsi - loro di estrazione francescana - attorno alle dimore delle oblate e degli oblati agostiniani.
[...]
Il 27 marzo 1254, a santo Stefano della Rotta presso Ferrara Beatrice d'Este, figlia del marchese Azzo VII, insieme a Meleninda da Padova compie la professione religiosa davanti al vescovo Giovanni Quirini, secondo quella regola che al papa fosse piaciuto disporre: subito dopo nel medesimo atto il presule concede loro la chiesa e il luogo della professione, con il benestare del capitolo, compresi tutti i diritti pertinenti a detta chiesa, con facoltà di costruirne altra assieme ad un nuovo claustro. Le suore non contribuiranno al vescovado altro che il censo di una libra di cera all'anno»
A. Samaritani, Conventualizzazioni di eremiti e di pinzocchere a Ferrara tra Medioevo e Umanesimo (metà sec. 13.-metà sec. 15.), estratto da: «Analecta Tertii Ordinis Regulari Sancti Francisci», n. 135, anno 15. (1982).

Il convento di Santo Stefano della Rotta insisteva su un'isola detta di san Lazzaro a motivo della chiesa e del lebbrosario, usato in seguito per ogni tipo di epidemie. L'isola si trovava sul braccio del Po di Volano, ad est della città, nel canale Diversivo tra Quacchio e l'attuale Focomorto.


giovedì 18 ottobre 2018

Marco Zoppo, per ricordare Berenice

Nel marzo 2011 ci lasciava una grande amica del Seminario: Berenice Giovannucci Vigi, storica dell'arte che ha curato volumi sul Museo Diocesano, sulla Porta dei Mesi, sui Corali della Cattedrale, sulla pittura del Seicento. Giovanni Sassu, curatore dei Musei di Arte Antica e del Museo della Cattedrale di Ferrara, la ricordava così: "Chi ha avuto la fortuna di frequentarla, colleghi, allievi, amici o semplici conoscenti, non poteva che rimanere colpito dalla sua straordinaria energia, dalla sua voglia incontenibile di fare, dall'urgenza del condividere le proprie passioni e il suo amore per l'arte" (Un ricordo di Berenice, protagonista silenziosa della vita culturale ferrarese, in: "Ferrara. Voci di una città" n. 34, 2011).


Leggiamo un breve cenno tratto dal suo volume Marco Zoppo e il suo tempo, Bologna, Nuova Alfa 1993:
"Nel 1433, come si deduce da un documento reso noto da I.B. Supino solo nel 1925, Marco Ruggeri, detto Marco Zoppo, nasce a Cento. Dalle nuove fonti oggi disponibili, esaminate dal Samoggia, veniamo a sapere che il padre di Marco, Antonio, era stato creato notaio a Ferrara, aveva esercitato tale professione tra Pieve e Cento, e si era trasferito poi a Bologna" [...]
"Attirato verosimilmente dal nuovo clima artistico, rinnovato rispetto alle tendenze ancora tardogotiche della cultura figurativa padana dalle imprese di Donatello nella basilica del Santo e di Mantegna nella chiesa degli Eremitani, lo Zoppo intorno al 1453 è a Padova. I documenti resi noti dal Lazzarini citano "Marcus Pictor, filius Antoniji Rucerij" tra quanti frequentano la rinomata bottega di Francesco Squarcione, maestro forse più impresario che pittore, famoso per essere a capo di uno "studium" aperto fin dal 1431 a numerosi allievi, tra i quali si troverà anche Mantegna".

Il volume su Marco Zoppo è consultabile in biblioteca alle norme di regolamento.


mercoledì 17 ottobre 2018

La chiesa e il convento di San Paolo dei carmelitani

(immagine tratta da Wikipedia)

Nel 1999 il Bollettino della Ferrariae Decus dedicava una monografia a La chiesa ed il convento di S. Paolo a Ferrara (Cartografica artigiana, 1999). Si tratta di un volume molto approfondito, prezioso per ricostruire la storia della secolare istituzione nelle varie e controverse fasi che ha attraversato.
Leggiamo dal contributo di Laura Graziani Secchieri:
"Il documento più antico che abbiamo individuato è datato 1295 e mostra una piccola chiesa affiancata dalla casa parrocchiale a lato del sagrato, mentre confinava con la torre e le case della famiglia di antica nobiltà dei Leuti presso la via delle Volte, per mezzo del cimitero: un atto del 1392 indica che quest'ultimo si estendeva anche lungo il fianco orientale della pieve. Le fondi bibliografiche tramandano che già dal X secolo la chiesetta di San Paolo sorgeva in prossimità delle principali arterie altomedievali (le vie Grande e delle Volte, appunto) ma, con la sua facciata rivolta a nord, era tutta proiettata verso il cuore economico (la piazza del mercato), religioso (la cattedrale) e politico (il palazzo della Ragione) della Ferrara comunale. Era sotteso, perciò, da un intento di politica urbana il gesto del vescovo Federico che affidava nel 1295 la chiesa parrocchiale di S. Paolo con tutti i suoi beni ai frati della Beata Maria del Monte Carmelo, in sostituzione del Rettore precedente, colpevole di condotta poco rigorosa".
(L. Graziani Secchieri, Le vicende storiche e le trasformazioni architettoniche della chiesa e del complesso conventuale di S. Paolo).
Il volume è custodito presso il fondo locale della Biblioteca, ed è consultabile solo in loco.

lunedì 15 ottobre 2018

Il monastero di San Bernardino

(entrambe le immagini sono tratte da Wikipedia,
questa sopra è un ritaglio dalla pianta di Andrea Bolzoni
)

Il monastero di san Bernardino, oggi perduto, sorgeva tra le vie Giovecca e Mortara. Originariamente sorto come monastero maschile cistercense, era stato poi destinato alla comunità di benedettini di San Bartolo fuori le mura. Iniziata l'Addizione erculea, il duca Ercole I aveva proposto ai monaci di spostare il monastero all'interno della città, offrendo loro l'area di corso Giovecca che noi contemporanei conosciamo per aver ospitato a lungo l'ospedale cittadino.


Riferimenti alla facciata di un nuovo monastero nella Terra Nova per i monaci di San Bartolo sono presenti nell'anonimo Diario ferrarese sotto l'anno 1496. Documenti d'archivio mostrano che già nel 1498 i monaci davano incarico ad artigiani e muratori di iniziare la costruzione sia della chiesa che del monastero. Ma i lavori procedevano a rilento, pare che i monaci non gradissero quella che dovette apparire una vera e propria "deportazione" forzata dalla campagna alla città, così nell'autunno del 1509, quattro anni dopo la morte di Ercole, la nuora Lucrezia acquistò lo stabile per quattromila lire ferraresi e lo trasformò in convento dedicato alla nipote Camilla.
Un cronista dell'epoca riferisce che nel 1510 la duchessa assieme a Camilla condusse un gruppo di ventidue monache del Corpus Domini a San Bernardino; alla loro direzione era stata nominata suor Laura Boiardi, già badessa al Corpus Domini e figura carissima alla stessa Lucrezia.
Riccamente dotato, il monastero disponeva di un'Annunciazione a destra dell'altare, di mano sconosciuta ma attribuita a Dosso, e di una pala d'altare di Scarsellino, oggi alla Pinacoteca di Brera.

Bibliografia essenziale:
A. Bargellesi, Camilla Borgia e il convento di San Bernardino in Ferrara, in: Studi vari, Rovigo 1955
D.Y. Ghirardo, Strutturazione e destrutturazione del Convento di San Bernardino, in: Analecta Pomposiana 27, Ferrara 2003
A.M. Fioravanti Baraldi, Un singolare episodio di committenza femminile a Ferrara: il monastero di San Bernardino, in: Caterina Vigri, la santa e la città, Firenze 2004
A. Tissoni Benvenuti, L'arrivo di Lucrezia a Ferrara, in: Lucrezia Borgia, Firenze 2006

mercoledì 10 ottobre 2018

Ancora sui Gesuiti a Ferrara

(immagine tratta da Il Messaggero, ediz. 27 settembre 2017)
La presenza della Compagnia di Gesù a Ferrara è nodale in quanto si intreccia sia con la vicenda di Renata di Francia, segnatamente con i sospetti di eresia che gravavano su di lei, e che indussero Ercole II a richiedere l'intervento di Claudio Jajo, teologo gesuita del concilio di Trento, come direttore spirituale della moglie (1547)a; sia con l'istituzione della Casa dei catecumeni (1584), al cui programma formativo i gesuiti collaborarono rivestendo un ruolo di primo piano, secondo l'autorevole testimonianza di Daniello Bartoli, certamente il più celebre dei gesuiti ferraresi.
a, nel 1551 Ignazio di Loyola tentò di nuovo la conversione della duchessa, inviando a Ferrara il rettore del collegio romano Jean Pelletier, segno evidente che l'obiettivo non era stato perseguito.

Sul tema, seguiamo ancora Luigi Pepe:
"La storia dei gesuiti a Ferrara ha origini antiche e essenzialmente dinastiche: inizia con il sostegno dato alla Compagnia da Ercole II d'Este, figlio di Lucrezia Borgia e quindi parente di Francesco Borgia. Ercole intervenne anche nel 1540 presso papa Paolo III a favore del riconoscimento canonico della Compagnia. Pochi anni dopo fu Ercole ad aver bisogno dei gesuiti per difendersi dai sospetti di eresia che gravavano sulla sua corte, a causa dell'adesione occulta al calvinismo della moglie Renata di Francia. Egli ottenne che il teologo del Concilio di Trento Claudio Jajo fosse inviato a Ferrara come direttore spirituale nel 1547. Pochi anni dopo nel 1550 arrivava a Ferrara dalla Spagna Francesco Borgia, che dispose, in accordo con mons. Alfondo Rossetti vescovo di Comacchio e poi di Ferrara, la fondazione di un Collegio dei gesuiti a Ferrara. La storia di questi eventi è magistralmente raccontata dal più illustre dei gesuiti ferraresi: Daniello Bartoli.
Ferrara fu devoluta nel 1598 allo Stato pontificio, ma conservò lo Studio e divenne capoluogo della più settentrionale delle Legazioni pontificie, al confine con i territori della Repubblica di Venezia. In conseguenza dell'interdetto e dell'espulsione dei Gesuiti dai territori della Repubblica fu accolto a Ferrara, dove cessò di vivere, il celebre bibliografo della Compagnia Antonio Possevino".
Il contributo, dal titolo I gesuiti a Ferrara e la cultura scientifica, è contenuto nel volume "La presenza in Italia dei gesuiti iberici espulsi. Aspetti religiosi, politici, culturali", a cura di Ugo Baldini Gian Paolo Brizzi, Bologna, Clueb 2010.
Il saggio fa parte del fondo moderno alla collocazione 255.53/PRE BAL ed è accessibile al prestito.

lunedì 8 ottobre 2018

La Biblia española


Il Cinquecento ferrarese è teatro di un'ampia letteratura di traduzione di testi ebraici. In questo contesto culturale si inquadra la Biblia en lengua española traducida palabra por palabra de la verdad Hebrayca por muy excelentes Letrados, vista y examinada por el oficio de la Inquisicion, con Privilegio del Ylustrissimo Señor Duque de Ferrara", la "Bibbia di Ferrara" stampata in città tra il 1551 e il 1553 dai tipografi ebrei Avraham Usque, portoghese conosciuto anche col nome di Duarte Pinel, e Yomtob Atias alias Jerónimo de Vargas, marrano spagnolo. "Si tratta di un'opera di sintesi e di pacificazione tra i maestri ashkenaziti italiani, tale da essere gradita pure ai cristiani attraverso le molte varianti raccolte del testo" (Samaritani, Profilo, v. indicazioni bibliografiche finali). 
La prima edizione era dedicata a doña Gracia Nasi (1510-1569), ebrea portoghese giunta nella nostra città nel 1550; una seconda redazione di poco divergente, "adattata" potremmo dire alla lettura cristiana, fu presentata ad Ercole II e a lui espressamente dedicata.
"In un periodo nel quale l'attesa messianica si era fatta più vivida presso gli ebrei, la traduzione della Bibbia costituiva un auspicio di pace per il popolo, approdato al «placido e sicuro porto di Ferrara», così come richiamava il frontespizio della Biblia. Ben presto tuttavia, nel settembre 1553, l'Inquisizione romana decretò il rogo del Talmud. L'anno dopo, Ferrara venne prescelta a sede del Congresso rabbinico italiano al quale parteciparono rappresentanze di quattordici comunità ebraiche e, pur dopo il decreto pontificio del 1553, il duca Ercole II autorizzava la fondazione di un Istituto di studi ebraici".
Una copia della Biblia española è custodita in città presso la Biblioteca Comunale Ariostea.
Gli inserti sono tratti da:
A. Samaritani, Profilo di storia della spiritualità, pietà e devozione nella Chiesa di Ferrara-Comacchio; vicende, scritti e figure, Reggio Emilia, Diabasis 2004, p. 155.

lunedì 1 ottobre 2018

Gesuiti a Ferrara, la mostra bibliografica del 1998


Esattamente vent'anni fa, dal 15 ottobre al 31 dicembre 1998, presso la sala Ariosto della Biblioteca Comunale Ariostea si tenne la mostra bibliografica I Gesuiti e i loro libri a Ferrara - frontespizi figurati del Seicento, curata da Giuseppe Muscardini e Luigi Pepe. In concomitanza uscì un volumetto prezioso, omonimo, contenente i saggi di Alessandra Chiappini, Giuseppe Muscardini, Giacomo Savioli, Maurizio Villani. Luigi Pepe curò anche questa pubblicazione.
Leggiamo insieme un breve brano dall'intervento del curatore.

"La presenza dei gesuiti a Ferrara si intreccia più volte con la grande storia dai primi fermenti della riforma cattolica che videro il passaggio a Ferrara di Ignazio e la presenza dei suoi compagni Rodriguez e Jay in città, protetti da Vittoria Colonna, agli interventi di Ercole II a favore della nascente Compagnia, alla forzata conversione di Renata di Francia ottenuta da Pelletier, alle vicende della Devoluzione e dell'interdetto di Venezia che portarono a Ferrara Bellarmino e Possevino, allo straordinario fiorire della scienza nel Seicento per merito dei ferraresi Cabeo, Riccioli e Bartoli, ai rifugiati ex-gesuiti a Ferrara (Zorzi, Andres, Monteiro) e al progetto di Enciclopedia Italiana.
Ignazio di Loyola (Iñigo Lopez de Loyola, nato nel 1491 nei Paesi Baschi) fondatore della Compagnia di Gesù, santo per la Chiesa Cattolica dal 1622, era stato un cadetto nobile senza risorse cresciuto con poca istruzione alla corte spagnola. Nel 1521 partecipò alla difesa di Pamplona, rimanendo gravemente ferito. Nella lunga convalescienza ebbe una crisi spirituale e cominciò a professare con fervore la religione. Uno dei suoi primi atti dopo la conversione fu un avventuroso viaggio in Terrasanta (1522) di ritorno dal quale Ignazio passò anche per Ferrara nel 1524."
-continua-

La pubblicazione fa parte del fondo locale ed è consultabile in biblioteca

giovedì 27 settembre 2018

Sulla corte di Renata

(immagine tratta dal sito Il professore, che ringraziamo)

Proponiamo oggi un breve brano tratto dal contributo di Chiara Franceschini La corte di Renata di Francia (1528-1560), pubblicato all'interno del volume 6 della prestigiosa Storia di Ferrara pubblicata nel 2000 per i tipi di Corbo editore.
"Dall'inizio alla fine del periodo in cui Renata di Valois, figlia di Luigi XII e di Anna di Bretagna, visse a Ferrara, e cioè dal 1528 al 1560, il complesso di familiari e servitori al suo servizio fu costantemente all'origine di squilibri e tensioni interne alla Casa d'Este, che si ripercossero sui rapporti diplomatici tra il Ducato e la Corona francese. Appare dunque opportuno chiedersi perchè la maison della duchessa fosse al centro di tanti contrasti. Il compito è facilitato dal fatto che la più ricca e meno scandagliata documentazione superstite relativa a Renata di Francia riguarda proprio la sua corte. Mentre, infatti, la corrispondenza personale della duchessa venne per la maggior parte distrutta a Ferrara insieme con i suoi libri perchè troppo compromettente, la quasi totalità dei registri amministrativi della maison è pervenuta fino a noi grazie, con ogni probabilità, a una successione ereditaria matrilineare. Alla morte della duchessa, avvenuta a Montargis nel 1575, i registri restarono presumibilmente alla figlia Anna, che in seconde nozze aveva sposato Jacques de Savoie duca di Nemours, e confluirono verso la metà del Seicento nell'archivio dei Savoia.
Se questa fonte è stata relativamente trascurata, ciò si deve soprattutto al fatto che l'attenzione degli studiosi si è concentrata sulle vicende personali di Renata e sulla questione della sua fede religiosa, assai più che sul contesto istituzionale ecultrale in cui aveva vissuto. Gli argomenti più dibattuti dalla storiografia sono stati la durata e le implicazioni della visita di Calvino a Ferrara, la sincerità del ritorno di Renata al cattolicesimo nel 1554 e la professione di fede al momento della morte, mentre il suo "piccolo circolo di corte", pur riconosciuto come centro importante nella mappa dell'eresia in Italia, è rimasto sempre sullo sfondo".

L'intero articolo è consultabile in biblioteca secondo regolamento.

lunedì 24 settembre 2018

Un convegno sul dialogo interreligioso

(immagine tratta dal sito Estense.com)

Domani, martedi 25 settembre, presso il teatro parrocchiale di Santa Francesca Romana avrà luogo il convegno Una voce di silenzio sottile. L'evento, che rientra nel percorso "Religioni e culture per la pace", si articolerà in due momenti: alle ore 18 verrà presentato il libro "Il folle sogno di Nevè Shalom Wahat al-Salam", nome del villaggio situato tra Tel Aviv e Gerusalemme in cui convivono ebrei, arabi, cristiani, musulmani e diversamente credenti.
Alle h. 21 si parlerà della "Stanza dei culti e del silenzio" dell'ospedale di Cona, interessante esperienza di condivisione dello spazio sacro tra praticanti di ogni credo religioso. Interverranno Hassan Samid, del Centro di cultura islamica di via Traversagno, Oksana Kovalev della Chiesa russa ortodossa, Luciano Sardi per la Chiesa evangelica battista, Jean Bosna Ticu-Janel della Chiesa evangelica "Il fiume del risveglio". Moderatore Piero Stefani, sarà presente il vicesindaco Massimo Maisto.

giovedì 20 settembre 2018

Uno studio sulla Ferrara medievale


Nel 1995 per i tipi Grafis di Casalecchio di Reno uscì un'importante raccolta di studi sulla topografia medievale della città, patrocinata da Comune di Ferrara - Assessorato alla Cultura - Musei Civici di Arte Antica, e curata da Anna Maria Visser Travagli. Il titolo è Ferrara nel medioevo. Topografia storica e archeologia urbana, e in allegato riporta la carta archeologica della città, straordinario documento che illustra le successive fasi di accrescimento della cinta urbana.
All'inizio del volume, la curatrice illustra il progetto:
"Ferrara è nota soprattutto come centro di cultura rinascimentale, dove nel XV e XVI secolo è fiorita una originale scuola pittorica e una straordinaria produzione letteraria e musicale. La forma urbana è stata celebrata come modello di pianificazione razionale e moderna, con la grande Addizione voluta dal duca Ercole I d'Este nel 1492, attraversata da ampie strade rettilinee, alle quali fanno corona i palazzi nobiliari, sullo sfondo dell'imponente cerchia muraria.
Ma l'originalità e la grandezza di Ferrara si deve alla compresenza del nucleo medievale, accanto al nucleo rinascimentale, alla loro saldatura, che rende vitale tutto l'aggregato urbano. La fortuna critica della città rinascimentale è stata sancita dal Burckhardt, che l'ha definita la prima città moderna d'Europa, da Adolfo Venturi, che nell'esaminare l'architettura ferrarese intravede anche l'originalità del disegno urbanistico della città e soprattutto dall'analisi acuta e penetrante del linguaggio urbanistico di Biagio Rossetti, l'artefice dell'Addizione Erculea, magistralmente interpretato da Bruno Zevi.
Ma tutto questo ha fatalmente contribuito a lasciare in ombra la città medievale, con tutto il suo patrimonio di percorsi, di piazze, di spazi, di edilizia abitativa. Anche il meccanismo di accrescimento della città individuale nelle «addizioni» ha fatto sbrigativamente sentire la città medievale come preludio e preparazione del dispiegarsi della città rinascimentale, appiattendo su uno sfondo indistinto tutto il lavorio, le trasformazioni e gli interventi che hanno portato al costituirsi di quell'organismo altrettanto mirabile e importante che è la città medievale".

Il volume e la preziosa carta topografica sono consultabili in biblioteca, alle norme di regolamento

martedì 18 settembre 2018

Uno scrigno prezioso nel centro di Ferrara

(foto tratta da Wikipedia)

Kylix è un termine greco per indicare la "coppa da vino", un manufatto in ceramica di uso voluttuario, particolarmente diffuso nei corredi nuziali. Il termine è traducibile in italiano con "tazza". Quella riprodotta in foto è visibile al Museo Archeologico Nazionale di Spina, ed è opera del Pittore di Pentesilea. Peraltro, non è l'unico reperto attribuito a questo autore visibile nella collezione museale; leggiamo da un contributo di Laura Paoli:
"A Spina, il pittore di Pentesilea è presente, secondo Beazley, con sei opere provenienti rispettivamente dalle tombe 308, 433, e 961 di Valle Trebba e 5B, 212B, 18C di Valle Pega. Le forme vascolari su cui sono dipinte le scene raffigurate da questo pittore sono, in ordine di appartenenta alle tombe sopra elencate, un kantharos, una kylix, uno skyphos per la necropoli di Valle Trebba e tre kylikes per quella di Valle Pega. Se poco conosciuti sono i vasi appartenente alle prime tre sepolture, al contrario noti e studiati quelli provenienti da Valle Pega".

Laura Paoli fu relatrice al convegno ferrarese del 15 ottobre 1992, dal titolo "Studi sulla necropoli di Spina in Valle Trebba"; il suo intervento, Il pittore di Pentesilea nella necropoli di Spina, è contenuto nel volume degli Atti pubblicati a cura dell'Accademia delle Scienze, ed è consultabile in Biblioteca alle norme di regolamento.

martedì 11 settembre 2018

Giornata diocesana del laicato



Sabato 29 settembre p.v. presso la Città del Ragazzo si svolgerà la Giornata diocesana del laicato relativa all'anno pastorale 2018-2019. Avrà per tema la condivisione: è annunciata infatti dalla pericope di Giovanni 17:21 "Perchè tutti siano una cosa sola".
A questo link potete leggere il programma completo. Al termine dell'incontro, seguirà cena comunitaria.

lunedì 10 settembre 2018

Alle origini della "cattiva fama" di Lucrezia Borgia

(Presunto ritratto di Lucrezia Borgia nella Disputa di santa Caterina di Pinturicchio)
immagine tratta da Wikipedia, ad vocem

Comporre un mosaico di notizie "veritiere" circa Lucrezia Borgia risulta particolarmente difficile. I problemi storiografici sono di varia natura, su tutti ovviamente la necessaria riabilitazione della sua figura dal mito romantico della cattiva fama.
Fino a circa un secolo fa, l'alone di malvagità e corruzione che circondava la famiglia Borgia sottintendeva che anche Lucrezia vi fosse strettamente connessa. Di questa fama, Guicciardini era certamente tra i capostipiti, ma fu la letteratura romantica a perfezionare il ritratto riprovevole che tutti conosciamo. La veste "letteraria" è di Victor Hugo che nel 1833 ne fece la protagonista di una tragedia greca; la trasposizione operistica fu di Donizetti. A metà dello stesso secolo il capolavoro di Jacob Burkhardt La cultura del Rinascimento in Italia consacrava anche sul piano storico la "leggenda nera" dei Borgia.
La prima autorevole biografia su Lucrezia si deve allo storico tedesco Ferdinand Gregorovius, autore di una monumentale Storia di Roma nel medioevo. Nonostante la sua imponente documentazione privilegiasse il periodo romano della figlia di Alessandro VI, egli iniziò a portare alla luce la vicenda biografica separando le dicerie dagli episodi accertati, ed inaugurando così la classificazione dicotomica in cui vennero da allora posti tutti gli studiosi di Lucrezia, divisi tra innocentisti e colpevolisti, con effetti anche paradossi per cui ad esempio lui protestante era innocentista mentre il cattolicissimo von Pastor colpevolista.
Solo nel 1901 lo storico inglese Robert Davidsohn analizzando un codice della biblioteca nazionale di Firenze scoprì che Lucrezia aveva assunto l'abito di terziaria francescana ed era stata sepolta con quella veste. Alla religione della duchessa nessun rilievo particolare continuò ad esser dato per lungo tempo, finchè nel 1981 un importante saggio di Antonio Samaritani, v. nota 1, poneva specificamente il problema riesaminando la corrispondenza mantovana della duchessa, i rapporti con i confessori e i monasteri, la vita devota condotta a corte.
Contributo documentario per un profilo spirituale e religioso di Lucrezia Borgia nella Ferrara degli anni 1502-1519, in: Analecta Tertii Ordinis Regularis (ATOR) 14, 1981 
-segue-

In Umbria, un G7 sui temi dell'inclusione e disabilità

  E' in pieno svolgimento in Umbria l'incontro del G7 sul tema " Disabilità e inclusione ". Per l'Italia parlerà Aless...