lunedì 8 marzo 2021

Ricordando madre Cànopi

 


Ricorre in questi giorni il secondo anniversario della morte di madre Anna Maria Canopi, benedettina, prima badessa dell'abbazia Mater Ecclesiae, da lei fondata sull'isola di San Giulio d'Orta. Mentre ne celebriamo il ricordo, rileggiamo poche brevi parole da un suo prezioso libretto, Voi mi conoscete, Lectio divina sulla vita consacrata, uscito a Roma nel 1981 per la casa editrice delle Paoline.

«L'itinerario della conoscenza di Cristo coincide con lo stesso itinerario della fede e dell'amore. L'io deve imparare a tacere e ad ascoltare; la mente deve imparare a lasciar cadere le impalcature dei suoi concetti e dei suoi ragionamenti; il cuore deve imparare la strada dell'esilio per andare lontano da tutto quanto lo tiene attaccato ai suoi vecchi e tristi amori.
Per conoscere il Cristo, e quindi conoscere il Padre, nella luce dello Spirito Santo, bisogna prima di tutto liberarsi dalle proprie categorie mentali, purificare la mente e il cuore da tutti quei modi di vedere e di sentire che sono una proiezione del nostro io o comunque un'ambigua rappresentazione del Dio trascendente. È necessario passare attraverso una esperienza di spoliazione che ci porta a toccare il fondo della nostra ignoranza e a scoprire l'infinita distanza esistente tra la nostra intelligenza e la Sapienza divina, tra i nostri pensieri e i pensierio di Dio. Questa è l'ora in cui ci si imbatte - come Mosè (cfr Es 3,2-6) - nel roveto ardente; l'ora in cui ci si rende conto di non poter avanzare, così vestiti e calzati come si è, nella terra santa che ci sta davanti, e si sente perciò l'esigenza di lasciar cadere, fino all'ultimo lembo, tutto il rivestimento fittizio che ci fa da schermo, per presentarci totalmente indifesi al fuoco divorante della Verità. Può essere anche l'ora in cui - come Abramo (Gn 15,12) ci si sente colti all'improvviso da un mai sperimentato "torpore", da un "oscuro terrore", che è il fremito della nostra fragile natura toccata dal divino, caduta nelle mani del Dio vivente. Nella misura in cui ci si sente chiamati e totalmente visti, conosciuti da colui che è Presente, si ha la percezione del proprio nulla. Ma a poco a poco si va scoprendo in lui il senso e il valore unico della propria esistenza in mezzo alla sterminata moltitudine delle altre creature. E si intuisce, nell'intimo, il peso di quel nome, l'importanza di quell'unico e irrepetibile incontro che pone un sigillo su di noi, un sigillo che è come una ferita profonda; un dolore e una gioia senza nome, che hanno il sapoere indefinibile e insieme inconfondibile dell'esperienza del mistero divino».

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