Apprendiamo da un tweet delle edizioni Qiqajon dell'avvenuta scomparsa del teologo domenicano Jean-Pierre Jossua. Figura di primo piano della teologia contemporanea, aveva svolto gli studi di teologia presso la scuola di Le Saulchoir. Impossibile illustrarne esaustivamente la grandezza, invitiamo comunque i lettori appassionati di teologia ad approndirne la conoscenza, ed intanto leggiamo assieme qualche riga autobiografica da La letteratura e l'inquietudine dell'assoluto, edito nel 2005 da Diabasis.
«Quella che era la mia situazione all'inizio del mio insegnamento di teologia, trantacinque anni or sono, rappresenta efficacemente la disgiunzione totale che poteva esistere allora fra il pensiero religioso e la letteratura o gli studi dedicati a quest'ultima, così come il loro reciproco ignorarsi. A parte una certa attenzione agli aspetti letterari della Bibbia e delle opere cristiane antiche o dei testi mistici vivevo una completa schizoidia. Intendo, cioè, una giustapposizione tra il lettore appassionato che sono sempre stato, l'uomo che aveva tratto dalla letteratura una parte della sua sostanza viva e della sua riflessione sull'esistenza, e lo specialista di una teologia cristiana che pure volevo accordare alla modernità. Vedo due ragioni principali di tale cesura. La prima è universale e attiene allo stile intellettuale della teologia, che fu fin dal XIII secolo e ancora oggi continua ad essere, un discorso eslcusivamente concettuale. E ciò vale anche quando essa non è sistematica, anche nel caso di teologi d'avanguardia, anche per coloro che hanno praticato un'apertura alle scienze umane: storia, sociologia, psicanalisi, scienze delle religioni. La seconda ragione è più tipica dei paesi latini, e in particolare della Francia e gli altri paesi francofoni. La conosciamo già: è quel fossato, aperto senza dubbio nel Rinascimento, scavato profondamente dai Lumi, confermato dalla Restaurazione e dalla Rivoluzione; lo iato, insomma, creatosi tra una sub-cultura clericale e la cultura comune, che ho già evocato dicendo che era divenuto una delle componenti della "laicità". Il mondo laico, per un risentimento che in sè non è inspiegabile, si è mantenuto estraneo a interessi religiosi, mentre la sottocultura teologica, da parte sua, ha prima vegetato, poi, verso la fine del XIX secolo, ha ripreso vita e ha prosperato, a dispetto di crisi profonde (sopraggiunte ogni volta che si annunciava un'apertura, istantaneamente repressa dalle autorità ecclesiastiche) in un ambiente intellettuale piuttosto chiuso e spesso collocato in posizione difensiva»