giovedì 8 luglio 2021

Straordinaria modernità di Ivan Illich (1926-2002)

 

È impresa ardua tentare di descrivere l'eccezionale attualità di Ivan Illich nelle poche righe di testo cui abbiamo abituato i lettori. Basta dare un'occhiata anche cursoria ai titoli delle sue opere per coglierne il ruolo di anticipatore di problematiche ancora oggi di primaria importanza. Al 1973 datano ad esempio Energia ed equità, conosciuto anche con il sottotitolo Elogio della bicicletta, e La convivialità, nel quale teorizza la società conviviale come antidoto alla frustrazione causata dalla società industriale.
Straordiariamente attuale Nemesi medica, uscito nel lontano 1976, in cui già il filosofo austriaco metteva sotto accusa i processi di medicalizzazione del disagio. Alla luce del biennio appena trascorso se ne apprezzano la dimensione profetica e la fenomenale lungimiranza.
Ancora, nella corsa ad uno sviluppo privo di regole intravide le radici di quella creazione di "bisogni di base" che avrebbero generato nell'umanità la dipendenza dai beni materiali ed il conseguente squilibrio tra possessori e non (Per una storia dei bisogni, 1977).
Nel 1984 uscì Genere. Per una critica storica dell'uguaglianza, dove già abbozzando la distinzione tra sesso e genere metteva sotto la lente d'ingrandimento la percezione del corpo e le sue relazioni col mondo.
Ma lo scrittore, storico, pedagogista, filosofo fu in verità anche teologo, ed è ovviamente in questa veste che lo incontriamo qui. Curò infatti la voce Ugo di San Vittore all'interno della raccolta La lectio divina nella vita religiosa, uscita nel 1994 per i tipi di Qiqajon. Ne leggiamo un breve passo:

«Per il monaco, come per il retore classico o per il sofista, la lettura coinvolge tutto il corpo. Tuttavia essa, in ambito monastico, non è un'attività bensì un modo di vivere. Quale che sia il lavoro che si svolge, conformemente alla regola del monastero, vige la lettura continua. Questa regola, instaurata da Benedetto, divide la giornata in due attività giudicate d'eguale importanza: ora et labora, prega e lavora. Sette volte al giorno, la piccola comunità del monastero ideale si riunisce in chiesa. I monaci ascoltano le letture cantate con un tono che resta quasi sempre lo stesso, con alcune inflessioni rigorosamente determinate per sottolineare le domande, il discorso diretto  o la fine d'una pericope, e cantano i salmi. Nel tempo che intercorre, quando il monaco commercia o lavora, baratta o cesella, la recitazione in comune si trasforma in un brusio in cui ognuno cita i versetti che preferisce. Questi versetti sono il sentiero percorso nel suo pellegrinare verso il cielo, quando prega così come quando lavora. La lettura impregna i suoi giorni e le sue notti».

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