Il nome con cui è conosciuto, Orcagna, quasi sinistro anagramma di arcigno, è invece la semplice trasposizione vernacolare del patronimico Arcagnuolo (=Arcangelo), e nasconde una delle più brillanti personalità dell'arte figurativa trecentesca.
Il vero nome è Andrea di Cione, ma se lo cerchiamo così da Wikipedia potrebbe uscire la biografia del Verrocchio: stesso nome di battesimo e medesimo patronimico, un secolo però di differenza.
Per sapere di lui bisogna cercare proprio così: Orcagna. Era il capocantiere della principale bottega artistica fiorentina di quegli anni, formata in pratica dai suoi fratelli; artigiani loro con picchi di altissimo livello, artista a tutto tondo lui: pittore, scultore, architetto; il Vasari gli attribuisce anche dei sonetti, composti da anziano per il Burchiello ancor giovane. Forse li vide Anton Maria Biscioni in un codice strozziano, ce ne dà notizia il Carducci nella sua edizione dei lirici minori del Trecento.
Non sono molte le opere attribuibili con certezza all'Orcagna pittore, e fra queste di sicuro la più nota è il polittico della Cappella Strozzi in Santa Maria Novella, propriamente Cristo in gloria e santi, mentre come architetto e scultore firma il maestoso Tabernacolo di Orsanmichele, qui sotto, commissionato dalla confraternita della Beata Vergine Pura Madonna Santa Maria di San Michele in Orto, la Compagnia dei Laudesi in pratica.
Tuttavia ciò che più di tutto si è conservato nella memoria degli ammiratori è sicuramente il ciclo del Trionfo della morte in Santa Croce, del quale restano pochi frammenti oggi al Museo di Santa Croce. Il frammento proposto in apertura è la più esplicita rappresentazione del mondo medievale; quei volti stralunati, scavati, quegli occhi infossati dispiegano tutta la loro evidenza consonanza con la dialettica tra vivi e morti così tipica della mentalità del Trecento. "Così, secondo la visione medievale dominante, non sono i morti a essere le ombre dei vivi, ma i vivi a essere le ombre dei morti" (Jerome Baschet, I mondi del Medioevo: i luoghi dell'aldilà, in Arti e storia nel Medioevo, vol. I, Torino 2002).
La stessa fortuna di Andrea di Cione Arcagnuolo, per quella parte che attiene al destino (e certamente in seconda battuta rispetto alla sua grandezza artistica) deve qualcosa anche alla falce della Signora che quasi dimezzò la popolazione attorno al 1348: la peste nera si era portata via infatti i migliori allievi di Giotto, Maso di Banco, Bernardo Daddi, lasciando così aperta un'autostrada per la nascente fortuna della bottega di Orcagna.