Nel 2007 per le Edizioni Cartografica uscì un prezioso saggio di Micaela Torboli, sul governo di Borso d'Este. Ne riportiamo alcuni passi dall'Introduzione, chi volesse approfondire può consultarlo in biblioteca.
«Borso d'Este, marchese e duca, signore di Ferrara dal 1450 al 1471, non gode del favore degli storici d'oggi. Schiacciato dal confronto con il suo predecessore, l'elegante, colto, raffinato Leonello, e perdente nell'opinione degli studiosi rispetto a colui che gli successe, il fratellastro Ercole I - personaggio giustamente ritenuto di alto profilo - Borso è spesso presentato nei numerosi volumi in cui ci si occupa di lui in modo tale da sottolineare soprattutto i presunti aspetti ritenuti negativi del suo essere e del suo operato. Borso era, secondo questa tendenza critica, di fatto prevalente, vanesio fino all'eccesso, amante dell'adulazione al punto di circondarsi di rado di intellettuali di valore preferendo mediocri pennivendoli disposti a comporre lodi sperticate in suo onore dietro lauti compensi, rozzo ed incolto, tanto da non conoscere il latino. Dietro una facciata amabile avrebbe nascosto una feroce volontà di emergere, accoppiata ad una notevole scaltrezza nutrita dalla sua tendenza all'ambiguità, che avrebbe toccato anche il comportamento sessuale. Ovviamente ci sono dei però. Intanto cito Gundersheimer: "Di certo egli era immensamente popolare. Gli studiosi che hanno trovato la sua cultura scarsa, i suoi gusti convenzionali, il suo governo severo, i suoi giudizi vendicativi e il suo amore di far mostra di sè volgare hanno avuto difficoltà a rassegnarsi a questo fatto assolutamente ovvio", ovvio forse finchè Borso non sarà davvero valutato secondo la mentalità del suo tempo, lasciando da parte considerazioni che non si attagliano adeguatamente alla cultura in cui visse.
Queste critiche serrate a Borso infatti sono quasi tutte di natura moderna, perchè per i ferraresi suoi contemporanei (e per molti secoli a venire, prima di cominciare ad avere una "cattiva stampa") Borso fu un modello inarrivabile di signore perfetto, di gran lunga il più elogiato degli Estensi, e poi rimpianto con fervore, a livello popolare fino ai giorni nostri, e non è raro trovare qualche anziano il quale, deprecando la pochezza dell'oggi, come i suoi antenati afferma con un sospiro "Non è più il tempo del duca Borso!". Pensiamo soltanto al ritratto che di Borso ci tramandano testi non destinati alla conoscenza pubblica, come le Croniche di Ugo Caleffini, dove si legge di Borso appena deceduto che egli era stato "dio della pace, refugio di miseri et socorso di poveri... dio de la liberalitade et dio di poveri huomini... parea in Ferrara che ad ogni persona fosse morto patre et matre". Un formidabile elenco di tutto quanto d'importante e grandioso era stato fatto per la capitale e per i sudditi nei vent'anni di dominio di Borso si trova nel celebre Diario ferrarese, dove il duca viene ancora una volta definito come una divinità in terra»
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