giovedì 19 novembre 2020

Invito alla lettura: Gregorio di Nissa

 

(foto tratta da Wikipedia)
Omelia 1, Il bene della preghiera

«La parola divina ci mostra l'insegnamento sulla preghiera per il quale, ai discepoli che ne sono degni e che cercano con diligenza la conoscenza della preghiera, si suggerisce come conviene guadagnarsi l'ascolto divino per il tramite delle parole dell'orazione. Io per parte mia vorrei osare un po' e aggiungere qualcosa a quanto è stato scritto nel senso che non è necessario istruire la presente assemblea su come bisogna pregare ma sul fatto che occorre assolutamente pregare, cosa che forse non è ancora arrivata alle orecchie di molti. Infatti nella vita viene trascurata e negletta dai pù questa opera sacra e divina: la preghiera.
Su questo argomento dunque mi sembra che sia cosa buona in primo luogo, per quanto possibile, testimoniare con il discorso che bisogna decisamente perseverare nella preghiera, come dice l'apostolo, e quindi dare ascolto alla voce divina che ci suggerisce il modo con cui occorre rivolgere al Signore la supplica. Noto infatti che nel mondo attuale ci si dà pensiero di tutto, ponento attenzione chi a una cosa chi a un'altra, senza tuttavia che si ponga tra gli uomini riguardo al bene della preghiera.»
[...]
«Qualora la preghiera preceda l'impegno negli affari, il peccato non trova accesso nell'anima. Se infatti il ricordo di Dio rimane fissato nel cuore, i disegni dell'avversario risultano vani e la giustizia in ogni circostanza si pone come punto di equilibrio tra coloro che sono in disaccordo. La preghiera trattiene dal peccato anche il contadino, rendendo abbondanti in poca terra i frutti, perchè non si insinui oltre il peccato per il desiderio del di più. Così il viandante, così chi si prepara a una spedizione o alle nozze, così chiunque metta impegno in qualcosa, se lo fa con la preghiera, la riuscita dei suoi negozi lo terrà lontano dal peccare, dal momento che nessun nemico spinge l'anima verso il vizio. E se invece, abbandonato Dio, uno si dedica tutto agli affari, con ogni necessità costui che è fuori da Dio sarà completamente dalla parte dell'avversario. Si separa da Dio chi non lega se stesso a Dio per mezzo della preghiera. Perciò per questo è necessario in primo luogo che siamo istruiti dalla parola divina secondo la quale bisogna pregare sempre e non stancarsi mai. Dal pregare infatti proviene lo stare con Dio; chi è con Dio è separato dall'avversario.»

Gregorio di Nissa, La preghiera del Signore, collana "Testi patristici", ed. Città Nuova, Roma 2016

martedì 20 ottobre 2020

Storia della musica ebraica

 

L'associazione culturale Nodenim organizza un corso on-line di Storia della musica ebraica. Il corso consta di due cicli di dieci lezioni curate dal Maestro Enrico Fink. Le lezioni avranno luogo sulla piattaforma on-line Zoom ogni lunedi a partire dal 2 novembre, dalle ore 19 alle 20, ma saranno ovviamente recuperabili anche in differita. Per l'iscrizione, i costi e le modalità seguire questo link.

martedì 29 settembre 2020

Eresia e pedagogia nella Ferrara del Rinascimento

 

(immagine tratta da Wikipedia, che ringraziamo)

Prende il via oggi alle h. 17 presso la sala Agnelli della Biblioteca Comunale Ariostea un ciclo di due conferenze curate da Antonella Cagnolati, dedicate a "Eresia e pedagogia nella Ferrara del Rinascimento". Si parlerà di personalità cardine del rinascimento ferrarese, quali Fulvio Pellegrino Morato, umanista protestante, Celio Secondo Curione e altri.
Maggiori informazioni sull'evento qui.
Chi volesse approfondire, presso il fondo locale della Biblioteca del Seminario potrà trovare i seguenti contributi:
Mario Chignoni, Fulvio Pellegrino Morato umanista protestante (+1548), in "Atti dell'Accademia delle Scienze" voll. 62-63 (aa. 1984-1986), pp. 135-148
Mario Turchetti, Nota sulla religiosità di Celio Secondo Curione (1503-1569) in relazione al «nicodemismo»,  in Libri, idee e sentimenti religiosi nel Cinquecento italiano, Modena 1987, pp. 109-115
Adriano Prosperi, Celio Secondo Curione e gli autori italiani: da Pico al «Beneficio di Cristo», in Giovanni e Gianfrancesco Pico, Firenze 1998, pp. 163-185
Angelo Romano, Olimpia Morata e Celio Secondo Curione: aspetti letterari di un sodalizio eterodosso, in "Schifanoia" nn. 28/29 (2005), pp. 315-330

lunedì 7 settembre 2020

Paternità spirituale in Nicodemo l'Aghiorita

 

(immagine tratta dal profilo fb dell'Accademia Ortodossa San Nicodemo l'Aghiorita che ringraziamo)

«La figura di Nicodemo l'Aghiorita occupa un posto di grande rilievo nella storia e nella spiritualità dell'ortodossia contemporanea. Nato nel 1749 nell'isola greca di Naxos, Nicodemo studiò a Smirne, ove acquisì una straordinaria cultura sia religiosa sia profana. La sua vera realizzazione di uomo, di cristiano e di maestro spirituale e scrittore, si compì tuttavia n lunghi anni che trascorse come monaco al Monte Athos. Qui praticò l'ascesi, la lotta contro le passioni e la preghiera del cuore; qui redasse le sue grandi opere letterarie: l'Exomologhitȧrion, che sarà oggetto della nostra relazione, l'Enchirídion Symbouleutikón (Manuale dei consigli spirituali) e molte altre, per non parlare dell'ingente lavoro di cura e commento dei sacri canoni (il Pidȧlion) e dei testi patristici sulla preghiera esicasta (la Philokalía). Le sue posizioni teologiche e pastorali, fermamente ancorate ai padri della chiesa, faranno di lui uno strenuo paladino dell'ortodossia, ma lo metteranno anche in contrasto con le idee, ben più concilianti e mondane, delle autorità ecclesiastiche a lui contemporanee. Non solo egli dovette sopportare l'ostilità di molti teologi e vescovi, ma alcuni suoi scritti ricevettero addirittura condanne ufficiali. Ciononostante la chiesa, con il passare del tempo, comprese la sua santità e l'integrità della sua ortodossia e, nel 1955, con decreto del Patriarcato ecumenico, Nicodemo l'Aghiorita fu proclamato santo della chiesa ortodossa.»

Potete continuare la lettura in biblioteca! Il brano è infatti tratto da "L'esercizio della paternità spirituale nell'Exomologhitȧrion di Nicodemo l'Aghiorita", di Gheorghios Chrysostomou, in: La paternità spirituale nella tradizione ortodossa, aa.vv., Magnano, Qiqajon 2009.

venerdì 28 agosto 2020

Il Sermone sul distacco di Meister Eckhart

 


«Ho letto molti scritti, sia di maestri pagani che di profeti, dell'Antico e del Nuovo Testamento, e ho cercato con serietà e grande impegno quale sia la più alta e migliore virtù con la quale l'uomo può nel modo migliore e più intimo unirsi a Dio, e diventare per grazia ciò che Dio è per natura, e per la quale l'uomo sia il più possibile simile alla sua immagine di quando era in Dio, e nella quale non c'era differenza fra lui e Dio prima che Dio formasse le creature. E quando medito su tutti questi scritti secondo le possibilità che ha la mia ragione di riflettere e di conoscere, trovo nient'altro che questo: che il puro distacco è al di sopra di tutte le cose, poiché tutte le virtù riguardano almeno un poco le creature, mentre il dstacco è svincolato da tutte le creature. Perciò nostro Signore disse a Marta: Unum est necessarium, o in altre parole: Marta, chi vuol esser sereno e puro deve possedere una cosa: il distacco. I maestri lodano grandemente l'amore, come fa San Paolo che dice: "Qualunque sia l'opera che io faccia, se non ho l'amore sono nulla". Ma io lodo il distacco più di ogni amore. Anzitutto perchè la cosa migliore che è nell'amore è che esso mi costringe ad amare Dio, mentre il distacco costringe Dio ad amare me. Ora, è molto più nobile che io costringa Dio a venire a me, che non costringere me stesso ad andare a lui: poiché Dio può penetrare in me e unirsi a me più intimamente [di quanto] non possa io unirmi a Dio. Che il distacco costringa Dio a venire a me lo dimostro così: ogni cosa tende al suo luogo naturale e proprio. Ora il luogo naturale e proprio di Dio è l'unità e la purezza, che derivano dal distacco. Ne consegue necessariamente che Dio si dia a un cuore distaccato. In secondo luogo, lodo il distacco al di sopra dell'amore poiché l'amore mi costringe a sopportare tutte le cose per Dio, mentre il distacco mi conduce ad essere accessibile soltando a Dio. Ora è molto più nobile essere accessibile soltanto a Dio che soffrire tutte le cose per Dio, poiché l'uomo nella sofferenza guarda ancora un poco alla creatura dalla quale riceve la sofferenza, mentre il distacco è completamente svincolato da ogni creatura. Ma che il distacco sia accessibile soltanto a Dio lo provo così: ciò che dev'essere accolto, dev'essere accolto in qualche cosa. Ora il distacco è così vicino al nulla che nessuna cosa è abbastanza sottile per poter penetrare nel distacco, se non Dio solo. Esso è così semplice e sottile che può ben entrare in un cuore distaccato.  Perciò il distacco è accessibile soltanto a Dio.»

da Trattati e prediche, Milano, Rusconi 1982

venerdì 21 agosto 2020

La letteratura filosofica del Medioevo

 


La seguente lettura è tratta da: La filosofia medievale, A. De Libera, Bologna, Il Mulino 1991, p. 15:
«Il medioevo occidentale è giunto a conoscere solo tardivamente l'opera completa di Aristotele e ha praticamente ignorato tutto di Platone. Il grande testo platonico medioevale è il frammento del Timeo (17a-53c) tradotto e commentato nel IV secolo d.C. dal cristiano e neoplatonico Calcidio. Le traduzione del Menone e del Fedone dell'italiano Enrico Aristippo (ca. 1156) non hanno avuto che un'influenza marginale. La traduzione latina del commento di Proclo al Parmenide a opera di Guglielmo di Moerbeke, non sembra essere stata utilizzata prima di Bertoldo di Moosburg (ca. 1350); in seguito, venne usata soprattutto da Niccolò da Cusa (ca. 1460).
La recezione di Aristotele si compie in tre fasi [Dod 1982]. Fino agli anni 1150-1160 i medioevali conoscono soltanto una minima parte della sua opera logica; le Categorie e il De interpretatione, integrati dall'Isagoge di Porfirio, costituiscono quella che viene denominata logica vetus - laddove le monografie logiche di Boezio sostituiscono le parti mancanti dell'OrganonÈ solamente verso la fine del XII e l'inizio del XIII secolo che risulta in circolazione il complesso dell'opera aristotelica: innanzitutto le rimanenti parti dell'Organonnelle traduzioni di Boezio (Analitici primi, Topici, Elenchi sofistici) e di Giacomo da Venezia (Analitici secondi, ca 1125-1150) - ovvero la cosiddetta logica nova - e poi i libri naturales, cioè, principalmente, la Fisica, il De anima, il  De caelo e la Metafisica

Il testo è consultabile presso la Biblioteca del Seminario, alle norme di Regolamento.

lunedì 17 agosto 2020

Le beghine della Lotaringia: Maria di Oignes e gli ecclesiastici che la appoggiarono

 

(immagine tratta dal sito Santiebeati.it che ringraziamo)

«Il movimento delle beghine prese avvio in Lotaringia (l'antica parte centrale dell'impero carolingio), partendo dall'attuale Belgio e diffondendosi ben presto nella zona del Reno. La dinamica demografica giocò un certo qual ruolo, data la migrazione delle donne dalla campagna alle città in pieno sviluppo per trovare lavoro, ma si tratta di un fattore, non di una spiegazione. Sin dall'inizio del ventesimo secolo, si è affermata una divisione cronologica in quattro momenti per spiegare lo sviluppo istituzionale del beghinaggio: (a) singole donne che vivevano da sole o con i genitori; (b) piccole comunità all'interno delle parrocchie; (c) gruppi di dimensioni maggiori di beghine inserite al servizio di ospizi e di altre opere pie; e (d) parrocchie indipendenti (dette curtes) di beghine con grandi comunità di donne e di personale associato, come è dato riscontrare nel begijnhof belga che è sopravvissuto sino ad oggi. Al contrario di quanto si è spesso sostenuto, gli studi più recenti hanno mostrato come nel sud dei Paesi Bassi, almeno, il terzo e il quarto stadio non abbiano rappresentato uno sviluppo tardivo in reazione alla condanna del movimento all'inizio del quattrordicesimo secolo. Al contrario, essi avvano preso avvio già nel secondo quarto del tredicesimo secolo, nel momento in cui le autorità ecclesiastiche cercarono di regolare questa nuova manifestazione della religiosità femminile.»
Per le note, e il resto dell'articolo, si rimanda a: Bernard McGinn, Storia della mistica cristiana in Occidente, ed. Marietti 2008, p. 49.

giovedì 23 luglio 2020

"A un amico sconosciuto, sulla vita solitaria", Guigo I

(immagine tratta dal blog Cartusialover, che ringraziamo)

1. Guigo, il più piccolo dei servi della croce che sono alla Chartreuse, all'onorabile ...: auguro di vivere e di morire in Cristo.

2. Ogni uomo considera felice qualcuno, e io in particolare considero tale colui che non ambisce di essere elevato ai supremi onori in un palazzo, ma che, umile, sceglie di fare i lavori dei campi in un luogo appartato e, dedito alla meditazione, ama ricercare la sapienza nella quiete e desidera sedere solitario in silenzio.

3. Rifulgere negli onori, infatti, ed essere innalzati nelle cariche è, a mio giudizio, una cosa per niente affatto quieta; soggetta ai pericoli, esposta agli affanni, sospetta a molti, sicura per nessuno. Tutto ciò è lieto al suo inizio, oscuro nel suo svolgersi, triste alla fine. Va incontro a coloro che ne sono indegni, disdegna i buoni, si prende gioco, per lo più, di entrambi. E mentre fa essere miseri molti, non rende beato o felice nessuno.

Abbiamo seguito la traccia di Una parola dal silenzio, ed. Qiqajon 1997
Introduzione, traduzione e note a cura di Cecilia Falchini, monaca di Bose 

lunedì 9 marzo 2020

Torture ed assassinii politici in Ferrara nel 1853


«Ferrara è città tranquillissima per l'indole pacifica e dignitosa de' suoi abitanti, i quali calmi di animo e riflessivi non si abbandonano a sconsigliate ed inutili manifestazioni; ed agiscono solo con maturità di consiglio e profonda convinzione, persistendo risoluti ed energici nell'azione intrapresa. Ferrara, nelle decorse turbolenze non ebbe a deplorare alcun eccesso; tuttochè la grande maggioranza de' suoi cittadini ardesse di patrio amore, e cooperasse vigorosamente ad elevare questa nostra sventurata Italia all'essere di nazione, redimendola dalla dominazione clericale e straniera, può dirsi che nel suo seno fosse veramente consentita la libertà d'opinione, perchè nessun individuo, benchè conosciuto di convinzioni contrarie a quelle del giorno, ebbe a patire o molestie dal governo, o ingiurie dai particolari. Eppure, restaurato appena il governo pontificio, questa città, che nel tempo delle sommosse erasi sempre conservata costante nella sua dignità ed informata de' più nobili sentimenti di morale e di giustizia, ebbe ad essere vittima di una reazione furibonda per parte di quegli stessi che, nella prostrazione del loro partito, vi ebbero un asilo tranquillo e rispettato».

L'Autore di questo breve pamphlet, consultabile presso la nostra sede quando sarà nuovamente reso possibile l'ingresso al pubblico, non è indicato nelle note di copertina ma è comunque identificato in Carlo Balboni, patriota ferrarese (1827-1873). Tra le carte di Adelaide Ristori, consultabili al sito Risorgimento, si legge un frammento di una missiva a lui indirizzata:
"Parigi, 6 giugno 1861.
Caro Carlo, 
la morte del Conte di Cavour ci ha piombati nel più grande dolore! e siamo incapaci di concepirne un'idea! Dio! Che disgrazia tremenda! Noi metteremo il lutto come amici di quel grande uomo e come parte di quella famiglia ch'egli da padre ha redenta, facendola nazione"

martedì 3 marzo 2020

Presenza ebraica in Romagna


«Nel 1538 il Duca di Ferrara autorizzava nuovamente tutti et singuli spagnoli et parimenti tutti et singuli che haverano la lingua spagnola et tutti et singuli portugallesi et tutti et singuli che haverano la lingua portugallese, di qualunque qualitate, condizione et professione che ne siano... ad abitare ed esercitare attività commerciali nei suoi dominii. Pochi anni più tardi, nel 1542, Leuccio da Forlì quondam Mordecaio hispanico richiedeva il permesso di transitare liberamente e, se vi fosseo state le condizioni, di risiedere stabilmente nelle terre di Romagna soggette al ducato estense.

[...]

Attenzione affatto particolare dovrà essere riservata ai registri della cancelleria, specialmente alla serie dei "Decreta". Tra quelli di Leonello d'Este del 1447-1448, ad esempio, figurano le concessioni dei banchi di Lugo e Bagnacavallo. Ancora, nei registri di Alfonso II del 1575-1579 compaiono alcune riconferme per il banco di Bagnacavallo, oltre a indicazioni relative ad ebrei assolti da debiti o autorizzati ad attraversare lo Stato (nel solo periodo settembre 1576-dicembre 1578 ne ho potuto contare una quindicina)».

Gabriele Fabbrici, Fonti modenesi per la storia dell'ebraismo romagnolo, in "Ovadyah Yare da Bertinoro e la presenza ebraica in Romagna" pp. 75-89, Torino, Zamorani 1989.

mercoledì 26 febbraio 2020

Altre epidemie


«Non risulta facile, al giorno d'oggi, immaginare le grosse paure dell'uomo medievale per l'inclemenza di una natura assai poco controllabile, per le frequenti ed inaspettate guerre (fra l'altro incomprese ai più, perchè ritenute funzionali solo al prestigio e al potere dei signori), per le conseguenti carestie a cui si è sopra accennato e, corollario di tutte queste sventure, per quelle malattie epidemiche ritenute incurabili dalla medicina di allora.
Così la peste, in certe annate, falcidiava una popolazione già stremata da mille disagi. Rispetto alla povera gente, i ricchi avevano qualche possibilità in più di sopravvivere al flagello. Potevano infatti permettersi il lusso di abbandonare la città, in cui la densità demografica favoriva il rapido contagio, e rifugiarsi nelle proprie residenze di campagna. Così fece il marchese d'Este nel 1398, a fine giugno, quando si recò a Quartesana dopo avere sciolto il consiglio cittadino e sospeso ogni attività di governo. Gli effetti devastanti di guerra, carestia e peste si fecero sentire pesantemente anche nel 1405 quando, nella primavera, si verificò un miserandum hominum exterminium; in estate, nel rodigino, pare morissero otto uomini su dieci. Nel 1485 nel Ferrarese, all'indomani del conflitto con Venezia, "non se ritrovava contadini per essere parte morti de morbo, et parte stati morti al tempo della guerra proxime passata; et multi et multi lochi abandonati se ritrovavano et erano inselvadegati"


La peste era certamente la più terrribile delle epidemie; ma le condizioni igieniche assai approssimative e la scarsa salubrità del territorio in gran parte ancora paludoso potevano favorire lo sviluppo di mali non meno temibili quali le febbri (terzana e quartana) o i disturbi intestinali (flusso).
All'esplodere delle epidemie i governanti cercavano di prendere provvedimenti atti a scongiurare il contagio. Si proibivano processioni e prediche quaresimali per evitare la concentrazione, in poco spazio, di un gran numero di persone. In tal modo però si impediava alla gente di trovare consolazione nella religione e di pentirsi adeguatamente di quei peccati ritenuti, dagli uomini di chiesa, i veri responsabili di un morbo in cui si ravvisavano i segni della collera divina. Se i signori e i ricchi fuggivano dalla città divenuta pericolosa, nondimeno i responsabili della vita pubblica cercavano di frenare un indiscriminato esodo che avrebbe compromesso inesorabilmente la normale attività produttiva e generato insostenibili problemi di ordine pubblico. Perciò le autorità tendevano a nascodere la gravità della situazione. 
Quando la cosa non era più possibile, invece, pretendevano che i cittadini denunciassero prontamente i casi di contagio al fine di isolare le case infette. A questo punto erano gli stessi cittadini che, temendo di perdere le proprie cose, non rispettavano questi ordini, aggravando per conseguenza la già difficile situazione. Il provvedimento estremo, alla fine, fu quello di concentrare i malati in un luogo sufficientemente lontano ed isolato, e così si adibì la chiesa di Mizzana a lazzaretto».
Roberto Greci, Teresa Bacchi, "Guerre ed epidemie", in Storia illustrata di Ferrara, 1, San Marino AIEP 1987.
I dipinti sono la Danza macabra sulla facciata dell'Oratorio dei Disciplini a Clusone e il Trionfo della morte di Brueghel il Vecchio

Sul lazzaretto di Mizzana approfondimenti qui e qui

giovedì 20 febbraio 2020

Nuova acquisizione per il fondo locale

Biagio Rossetti
1444-1516
Architettura e documenti


In occasione delle celebrazioni per i cinquecento anni dalla morte di Biagio Rossetti venne pubblicata una corposa raccolta di saggi da oggi consultabile presso la nostra Biblioteca. La curano Francesco Ceccarelli, Andrea Marchesi, Maria Teresa Sambin De Norcen, con un importante profilo biografico  dell'artista curato da Daniele Pascale Guidotti Magnani.


Ne leggiamo assieme qualche cenno, invitandovi poi ad approfondire presso la nostra Sede.
«È trascorso quasi un secolo da quando Adolfo Venturi pubblicò il primo esauriente profilo storico critico dell'opera di Biagio Rossetti a Ferrara, dedicandogli nella sua monumentale Storia dell'arte italiana un numero di pagine di gran lunga superiore a quello riservato a tutti gli altri architetti emiliani del Rinascimento. Questa limpida sintesi storiografica, che avrebbe condizionato ogni studio posteriore sull'argomento, fissò dei caposaldi attributivi ancora oggi in larga parte accettati, i quali a loro volta si basavano sia sull'accurata indagine autoptica degli edifici, sia sulle interpretazioni, talora estensive, formulate a partire da una ricchissima documentazione archivistica, quella degli antichi archivi Estensi, resasi disponibile per le nuove ricerce filologiche e da lui esplorata con sistematicità e passione.
[...]
Per quanto riguardava l'architettura ferrarese del Rinascimento, la sua "riscoperta" prese l'avvio, come si dirà, nella prima metà dell'Ottocento e fu in buona parte accompagnata proprio da una parallela rivalutazione della figura di Biagio Rossetti, il cui nome affiorava ripetutamente dalle carte contabili via via scrutinate dai ricercatori, le quali lasciavno intravedere la sua presenza in una miriade di cantieri con responsabilità polivalenti e trasversali, da quella di manovale specializzato fino ai ruoli di appaltatore e di sovrintendente alle fabbriche in qualità di ducalis architectus

Il libro è uscito nel 2019 per i tipi di Bononia University Press.

mercoledì 12 febbraio 2020

Corso di legatura a mano del libro

Nelle giornate del 7 e 8 marzo 2020 si terrà presso la sede della Legatoria Antolini il corso di LEGATURA A MANO del libro, nelle tecniche di legatura orientale - legatura copta - a taccuino medievale - cartonata in mezza a tela e altre legature semplici.


Ricordiamo che la storica Legatoria Antolini è la ditta cui anche la Biblioteca del Seminario si rivolge per i restauri delle sue preziose cinquecentine. Di seguito possiamo seguire i dettagli di un percorso di restauro eseguito da Franco Antolini pre l'Università di Ferrara



Per informazioni chiamare il n. 0532 240421 oppure il n. di cellulare 347 2726916
La sede è in via Aldighieri 29/A
L'indirizzo mail è: francoantolini@libero.it 

lunedì 3 febbraio 2020

Agli esordi della tipografia ferrarese


«La diffusione commerciale del libro a stampa individua in Ferrara un centro importante: Ferrara è stata sicuramente una delle capitali dell'Umanesimo e del Rinascimento italiano; nell'arco di pochi decenni, in una città di dimensioni alquanto ridotte, ebbero luogo come in uno straordinario laboratorio esperimenti e innovazioni di assoluta qualità. Nell'arte figurativa, nell'architettura, nell'urbanistica, nella letteratura latino-volgare, nel teatro, nell'educazione e nella filosofia, nel pensiero medico e scientifico, nel costume sociale e nell'organizzazione amministrativa si ebbero acquisizioni e risultati di rilievo assoluto. È così che Ferrara sempre ritorna al centro degli studi in discipline anche molto distanti tra loro, in ricostruzioni tese a fornire nuovi dati su una stagione di esemplare creatività. [...]
Ferrara è quindi da considerarsi a tutti gli effetti una delle capitali della cultura scritta
Così si esprime Attilio Mauro Caproni nella presentazione de Il commercio librario a Ferrara tra XV e XVI secolo, opera di Angela Nuovo, ed. Olschki 1998.
La marca tipografica presentata in testa alla lettura (fanciullo che getta i dadi) è di Giulio Vasalini, tipografo del Discorso intorno a i contrasti che si fanno sopra la Gierusalemme liberata di Torquato Tasso per conto della stamperia di Vittorio Baldini.
Ne La tipografia del '500 in Italia, Ascarelli-Menato, Olschki 1989 leggiamo che «[Simone e Giulio Vasalini] pubblicarono sia a Ferrara che a Venezia le opere del Tasso».
È in corso il censimento delle marche tipografiche presenti nel Fondo antico della Biblioteca del Seminario di Ferrara, lo potete vedere qui.

venerdì 24 gennaio 2020

La Ca' di Dio di Ferrara

(Immagine tratta dal sito FeDetails, che ringraziamo)

Ritorniamo sulla principale struttura d'accoglienza per l'infanzia abbandonata in epoca rinascimentale (ne avevamo già parlato qui) e lo facciamo leggendo assieme a voi il contributo di Lodovica Marabese, L'infanzia abbandonata alla Ca' di Dio di Ferrara (1653-1798).
«La principale istituzione che a Ferrara si occupava di accogliere e curare i bambini abbandonati era l'ospedale San Cristoforo che condivise per lungo tempo fino al 1494 questo compito con un'altra struttura ospedaliera: il san Leonardo. Le origini dell'ospedale San Cristoforo, meglio conosciuto come Ca' di Dio, risalgono alla metà del XIII secolo anche se non si conosce la data precisa di fondazione. La più vecchia pergamena che si conservi in Archivio, datata 1249, indica chiaramente che la struttura era in funzione da qualche tempo e antichi testamenti risalenti agli anni 1268 e 1277 con i quali venivano decisi dei provvedimenti in favore dei bambini abbandonati confermano l'impegno sociale, che in seguito diventò primario, del San Cristoforo: l'accoglienza dei trovatelli.
Questo pio luogo chiamato anche San Cristoforo dal Ponticello, per un passaggio presso la fossa della città che in seguito divenne via Giovecca, sorgeva vicino alle mura della città dentro il quartiere di San Romano, divenuto località centrale a seguito dell'addizione erculea nel 1492, in via dei Bastardini (oggi via Bersaglieri del Po). Al confine con il vicolo del Gambero era situata ai primi tempi la ruota testimone di miseria, di abbandono, di morte ma anche di salvezza.
L'istituto ebbe diverse denominazioni: ospedale di San Cristoforo, dal titolo della chiesa annessa all'ospedale; dello Spirito Santo, titolo che deriva dalla Confraternita che resse le sorti dell'istituto dal 1408 al 1428, Ca' di Dio per le premure e le cure con cui la Confraternita portava avanti il suo ufficio (titolo che fino al 1366 appare indicato in pubblico rogito e che comunemente veniva utilizzato per indicare l'istituto), Ospitale dei bastardini o dei Protetti, infine Luogo Pio degli Esposti.


Nel 1389 la struttura, che per troppo tempo era stata trascurata, per sensibilità di Virgilio Silvestri, cameriere del marchese Alberto III d'Este e di suo figlio Andrea, canonico della Cattedrale di Ferrara, venne riedificata e adattata allo scopo di "raccogliere i parti esposti si legittimi che spurij o bastardi abandonati dalla crudeltà de' loro genitori", orientandosi così verso una forma assistenziale intermedia tra il brefotrofio e l'ospedale. Poichè nel frattempo, l'ospedale si era reso incapace di contenere il numero di trovatelli purtroppo costantemente in aumento, nel 1570 Barbara d'Austria, seconda moglie di Alfonso II, ultimo duca di Ferrara, con l'aiuto del marito e di molte altre autorevoli persone ampilò e modificò, su disegno di Alberto Schiatti, l'ospedale di San Cristoforo nell'ampia ed elegante struttura che ancora oggi mentiene».

Il saggio di Lodovica Marabese è contenuto in "Atti e Memorie", Deputazione Provinciale Ferrarese di Storia Patria, Serie IV volume 16, Ferrara S.A.T.E. 2000; consultabile in biblioteca alle norme di regolamento.
Volendo ulteriormente approfondire, un contributo davvero esaustivo viene da Daniela Fratti con È venuto alla casa involto nelle straze, edito nel 2014 da Italia tipolitografia. Un altro cenno della stessa autrice nell'articolo Origini e scomparsa della prima maternità italiana, in "Rivista dell'Ostetrica", anno VII n. 2 del 2017, consultabile a questo link.

lunedì 20 gennaio 2020

Angelo Conti, scultore neoclassico


Il catalogo online delle opere presenti alla Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea presenta una Allegoria della notte opera dello scultore Angelo Conti che presentiamo in testata. 
Su Angelo Conti, più dettagliatamente leggiamo Eleonora Testoni, La scuola ferrarese di scultura dal 1869 al 1876, in "Annali dell'Università di Ferrara" 3, 2006:
«Era nato a Ferrara nel 1812. Dopo avere seguito i corsi tenuti a Bologna dal neoclassico Giacomo De Maria, si era recato a Roma. Finanziato dal Comune e da mecenati della sua città natale, aveva frequentato le scuole del Campidoglio, l'Accademia di San Luca e fatto pratica nello studio di Alberth Thorvaldsen, sostenitore delle più rigorose teorie del Neoclassicismo. Ritornato a Ferrara i primi giorni del 1831 per consegnare alla Magistratura un suo busto marmoreo rappresentante Ludovico Ariosto, in aprile era ripartito per Roma. Nel 1835, nuovamente rimpatriato, aveva donato al Gonfaloniere due busti in gesso raffiguranti Benvenuto Tisi da Garofalo. Dopo aver realizzato, durante l'ennesimo soggiorno romano, un bassorilievo in memoria del Tisi, negli anni cinquanta aveva lavorato a Ferrara presso Camillo Torreggiani (scultore apprezzato per la sua capacità di coniugare neoclassicismo e verismo borghese). Conti era poi ritornato ancora una volta a Roma».

L'intera biografia è consultabile presso la nostra sede, negli orari di apertura e alle norme di regolamento.

martedì 14 gennaio 2020

Solennità dei santi di casa d'Este

Risultato immagini per beata beatrice II d'este"

Quest'anno il triduo di preghiera dedicato alla beata Beatrice II d'Este verrà predicato da don Francesco Viali, direttore dell'Ufficio per la Pastorale Sociale, Lavoro, Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato e vicario parrocchiale dell'Unità pastorale di Borgovado.
Il ciclo liturgico avrà inizio domani, mercoledì 15 gennaio alle 16,45 con la preghiera dei Vespri cantati dalla comunità monastica a cui farà seguito la santa Messa delle 17,30. Anche il giorno successivo  16 gennaio la liturgia manterrà gli stessi orari.
Venerdì 17 gennaio solennità di sant'Antonio abate cui il monastero è titolato, la santa messa sarà celebrata da don Fabio Ruffini alle ore 10,30; nel pomeriggio si potranno nuovamente seguire i vespri ed assistere alla santa Messa delle 17,30.
Sabato 18 gennaio solennità della beata Beatrice II d'Este fondatrice del monastero, la messa delle 10,30 sarà celebrata da don Paolo Bovina, e ai vespri delle 16,45 seguirà la concelebrazione eucaristica presieduta dall'Arcivescovo Mons. Gian Carlo Perego.
Domenica 19 gennaio il vicario generale Mons. Massimo Manservigi chiuderà le celebrazioni con la santa Messa delle 10,30 dedicata ai santi di casa d'Este.
Il Monastero di sant'Antonio in Polesine sorge nel nucleo più antico della città, come illustrato qui, nell'oasi senza tempo di vicolo del Gambone 15/a.

mercoledì 8 gennaio 2020

La bottega del Guercino in mostra a Spoleto


A Spoleto, la cooperativa Sistema Museo cura da diversi anni una piacevole e colta tradizione: Mezz'ora dopo la chiusura, ciclo di visite guidate a Palazzo Collicola per scoprire i raffinati tesori della cittadina umbra. Il programma è aggiornato mensilmente e le proposte tematiche sempre originali e coinvolgenti; una in particolare ha attirato la nostra attenzione in quanto avrà per protagonista un pittore molto legato alle nostre terre: il "Guercino" Giovan Francesco Barbieri che assieme al fratello Paolo Antonio operò nella bottega fondata nella cittadina centese. Palazzo Collicola ne custodisce alcuni prestigiosi dipinti, e proprio questa collezione sarà oggetto della visita guidata di venerdi 17 gennaio alle ore 18,30.

La bottega del Guercino
Capolavori barocchi a Spoleto

In Umbria, un G7 sui temi dell'inclusione e disabilità

  E' in pieno svolgimento in Umbria l'incontro del G7 sul tema " Disabilità e inclusione ". Per l'Italia parlerà Aless...