lunedì 30 luglio 2018

Sull'abbazia di San Bartolo a Ferrara


"L'antica Abbazia benedettina di S. Bartolomeo, che il popolo ferrarese chiama semplicemente S. Bartolo, sorge all'estrema periferia della città, in zona extramuranea, sulla strada che da Ferrara conduce a Comacchio. Secondo una tradizione tramandataci da un tardo compilatore seicentesco, il Libanori, sarebbe stata fondata nell'853 da una contessa di nome Ada o Latta, moglie di Ottone I d'Este. Nella prima metà del XIII secolo l'abbazia attraversava una fase di grave decadenza, ma le condizioni economiche iniziarono a mutare durante il pontificato di Gregorio IX con l'abate Ugo Ugolini (+1260), poi col suo successore Cristoforo, il quale fece abbellire e ridipingere la chiesa dotandola di un'antiporta sul cui architrave fece apporre la seguente iscrizione:

+ ANNO DNI MCCL / XXXXIIII HOC O / PUS 
FUIT FACTU / M TEMPORE DOMNI / 
CRISTOFORI AB / ATIS 

Il Riccomini, giustamente, ritiene che l'iscrizione non debba riferirsi solo alla costruzione del protiro, bensì a tutti i lavori che, nel periodo, interessarono la chiesa, compresa anche la decorazione ad affresco che sarà oggetto d'indagine. Pertanto la data 1294 costituirebbe un terminus ante quem per la loro realizzazione. L'abbazia infatti possedeva un ciclo pittorico che, a quanto narra il Libanori, era già scomparso verso la metà del Seicento, quando essa venne ammodernata per ordine dell'abate Dario Faccioli, secondo un progetto dell'architetto Giovan Battista Foschini.
Molto probabilmente fu in questo periodo che i dipinti del presbiterio dovettero subire quelle mutilazioni tuttora visibili nella zona inferiore, causate dall'aperture di due porte a volta ai lati dell'altare. Ma un'altra mutilazione ai nostri affreschi venne inferta nel XVIII sec., allorchè fu apposta, nella parete sinistra del presbiterio, una lapide nella zona del fregio fitomorfo che separa la scena dell'Ascensione dagli episodi della vita di San Bartolomeo, a ricordo dei lavori di rifacimento effettuati nel 1766".

(immagine tratta dal sito dei Cistercensi, ad vocem)

Il testo completo compone il XXIV capitolo de La pittura monumentale in Romagna e nel ferrarese fra IX e XIII secolo, di Silvia Pasi, edito a Bologna per i tipi University Press nel 2001, consultabile presso la Biblioteca alle condizioni di regolamento.

lunedì 23 luglio 2018

La chiesa altomedievale di San Michele

(foto tratta da Wikipedia, ad vocem)
"È in angolo tra la vecchia Via del Turco e l'omonima Piazzetta. Si annovera tra le più antiche della città, come dimostra un documento del 969 citato dallo Scalabrini ed ebbe cura d'anime. Dipendeva dall'Abbazia di S. Bartolo fuori le mura, poi affidata ai Cistercensi di S. Maria in Aula Regia di Comacchio, e in proseguimento di tempo divenne priorato secolare. Uno dei Priori, nel 1479 la rifece quasi dalle fondamenta, e l'architetto gli diede i caratteri tipici delle nostre chiese ricostruite o ampliate nel Quattrocento. La facciata è tripartita da tre arcate cieche impostate su semplici pilastri; in ciascuna delle due laterali si apre una finestra, un tempo ogivale poi ridotta rettangolare. Nella arcata mediana è scomparso il rosone centrale; il portale rettangolare è in cotto lavorato in opera e presenta tre lievi sbalzi limitato da file di perline il più esterno, da un sottile tortiglione il secondo, da uno smusso arrotondato il più interno. Questo portale è l'unico di tale tipo rimastoci, se mai altri vi furono".
da Gualtiero Medri, Chiese di Ferrara nella cerchia antica, Bologna, Mignani 1967


"[San Michele], che esisteva già avanti il Mille, ebbe dipendenza dall'abbazia di San Bortolo fuori le mura e fu affidata ai Cistercensi di Santa Maria in Aula Regia di Comacchio. Ebbe titolo di Priorato. Nel XVI secolo fu chiesa di giuspatronato laicale della famiglia Canani che le assicurò vita tranquilla fino a quando con Guglielmo, morto il 18 aprile 1767, la famiglia dei Canani si estinse"
da Raffaele Patitucci d'Alifera Patitario, San Giuliano in Ferrara chiesa dei giornalisti, Bologna, Tipolito TEG 1979

Entrambe le opere fanno parte del fondo locale della Biblioteca, e sono consultabili solo in sede.

mercoledì 18 luglio 2018

Nicolò da Lonigo, il Leoniceno

(immagine tratta da WikiVisually, ad vocem)

Quante volte ai ferraresi in transito per la "Cittadella della Salute" - ex Arcispedale S. Anna - sarà capitato di leggere l'indicazione "Aula Leoniceno"? talmente tante da non farci nemmen più caso. Già, ma chi era Nicola Leoniceno?
Sconosciuto ai più, ma stimato dai contemporanei al punto da riscuotere l'ammirazione di Erasmo da Rotterdam, arrivò nella nostra città a 36 anni e poi vi rimase pressochè ininterrottamente fino alla morte, giunta peraltro in età molto avanzata.
Leggiamo cosa ne scrive Carlo Rubbini: «Il più insigne dei medici ferraresi del '400 è senza dubbio Nicolò Leoniceno, nato nel 1428 a Lonigo o forse a Vicenza da famiglia originaria di Lonigo. A diciotto anni dopo aver compiuto gli studi classici divenne allievo della scuola medica di Pavia e a venticinque anni conseguì la laurea. Dal 1453 al al 1462 mancano precise notizie, poi per due anni cioè fino al 1464 fu forse insegnante a Padova [...] nel 1464 Borso chiama il Leoniceno per insegnare all'Università. Il Leoniceno vi insegna dapprima filosofia greca e solo più tardi vi ebbe l'insegnamento della medicina, che nella prima metà del secolo non aveva avuto parte nel programma dello Studio».
Ancora, sappiamo che fu protagonista di primo piano del convegno tenutosi a Ferrara nel 1497 per volere di Ercole I d'Este "intorno all'identificazione della sifilide, alle sue cause e alle relative cure". Le sue posizioni sono esposte nel bel volume di Chiara Beatrice Vicentini e Donatella Mares, v. bibliografia: «Nella sua celebre lettera ad Angelo Poliziano "De Plinii aliorumque in medicina erroribus" criticò gli arabi, Plinio ed altre autorità fino allora indiscusse.Valendosi poi della perfetta conoscenza del greco e del latino e della sua maestria quale medico e naturalista, introdusse quel metodo critico revisionistico anche ai testi scientifici dell'antichità greca e latina e diede così inizio ad una nuova era del libero esame dell'osservazione della natura attraverso il metodo sperimentale».
Bibliografia consultata: C. Rubbini, La medicina e le battaglie di Leoniceno, in: Ferrara, il Po la Cattedrale la Corte dalle origini al 1598, vol. 1, Bologna, Alfa 1978
C.B. Vicentini - D. Mares, Dall'Hortus sanitatis alle moderne farmacopee attraverso i tesori delle biblioteche ferraresi, Ferrara, Tosi 2008
Entrambi i testi sono reperibili e consultabili in biblioteca, alle norme di regolamento.

lunedì 16 luglio 2018

Flos Carmeli



Oggi si festeggia la Madonna del Carmelo. In città era possibile omaggiarla presso la chiesa di San Paolo, oggi purtroppo chiusa; il suo culto è altresì praticato nella chiesa di San Girolamo dei carmelitani, in via Savonarola.
Della prima, Carlo Brisighella racconta: "S. Paolo addimandato S. Polo dopo ruinato dal gran terremoto del 1570, venne nuovamente riedificato dai fondamenti dalli PP. Osservanti Carmelitani col disegno d'Alberto Schiatti architetto ferrarese, ponendovi Alfonso II d'Este la prima pietra fondamentale a' 18 ottobre del 1575 soggiacendo alla cura delle anime esercitata da uno di que' religiosi Carmelitani della Congregazione di Mantova, che oggidì vi abitano".
Alla Madonna del Carmelo è dedicata la cappella del transetto sinistro, affrescata da Giacomo Parolini.
Della chiesa di San Girolamo, sempre nella Descrizione delle pitture e sculture della città di Ferrara, edita a stampa per la prima volta nel 1990 per la cura di Maria Angela Novelli, ediz. Spazio Libri, il Brisighella dice: "Il B. Giovanni da Tossignano frate gesuato, il quale fu vescovo di Ferrara, dell'anno 1428 edificò un oratorio volto a settentrione, questo venne dopo dal P. Fra Paolo Morigi del detto ordine convertito in una pubblica chiesa dedicata al massimo Dottor S. Girolamo. Ma soppressa poi questa religione per giusti motivi dal Sommo Pontefice Clemente IX l'anno 1668, fu conceduta alli PP. Carmelitani di S. Teresa l'anno 1671 li quali di presente la custodiscono, ed abitano nel contiguo convento, avendone di già principiata ad edificare una maggiore in altro sito".
L'opera del Brisighella nella accurata versione di Maria Angela Novelli non è accessibile al prestito esterno ma consultabile presso la nostra sede negli orari e alle norme di regolamento.

giovedì 12 luglio 2018

La musica sacra nella Diocesi di Ferrara-Comacchio


Nel 2004, ancora per i tipi di Diabasis, Paolo Fabbri e Maria Chiara Bertieri dell'Università di Ferrara curano Il salterio e la cetra. Musiche liturgiche e devozionali nella Diocesi di Ferrara-Comacchio. Leggiamo dalla prefazione di mons. Bisarello: «Il Seminario Diocesano ha inteso promuovere la pubblicazione del secondo volume della collana La Chiesa di Ferrara-Comacchio tra spirito e arte con saggi di Paolo Fabbri e Maria Chiara Bertieri, amando pensare al modo di Platone che l'anima del mondo sia stata conformata dall'armonia musicale».
Il volume si apre sul corposo saggio di Paolo Fabbri Cantilene ecclesiastiche e sacri concenti, per offrire poi un'antologia dei principali brani di musica sacra sia di epoca estense che della successiva Devoluzione e una ricognizione del patrimonio storico organario della Diocesi.
L'opera fa parte del fondo locale della Biblioteca, ed è consultabile in sede, alle norme di regolamento.



martedì 10 luglio 2018

Spigolature bibliografiche su Celio Calcagnini

Dosso Dossi, Ritratto di nobiluomo, forse Celio Calcagnini
opera attualmente collocata al Philadelphia Museum of Art
immagine tratta da wikipedia

"Il Calcagnini, noto per aver strenuamente difeso la supremazia del latino sull'aborrito volgare, e per aver avversato la dottrina geocentrica in consonanza con l'amico Copernico, è degno di nota per aver composto un encomio per celebrare la laurea di un medico ebreo di nome Ruben; inoltre nelle sue opere si trova qualche riferimento a un altro medico ebreo di nome Raphael. Peraltro gli interessi e le frequentazioni di Celio Calcagnini e i suoi rapporti con l'umanista tedesco Jacob Ziegler e con l'illlustre rabbino ferrarese Avraham Farissol, e ancora con il celebre cardinale ebraista Egidio da Viterbo e con l'egittologo Pierio Valeriano, le sue letture appassionate delle opere del cabbalista cristiano Johannes Reuchlin, rendono ancora più verosimile un suo interesse per la composizione di una grammatica bilingue che consentisse ai letterati umanisti di accedere direttamente alla hebraica veritas, una esigenza profondamente avvertita presso numerosi cenacoli intellettuali del rinascimento".



Il cenno all'umanista ferrarese è tratto da Un intellettuale ebreo del Rinascimento: 'Ovadyah Sforno a Bologna e i suoi rapporti con i cristiani, di Saverio Campanini, in: Verso l'epilogo di una convivenza. Gli ebrei a Bologna nel XVI secolo, a c. di Maria Giuseppina Muzzarelli, Firenze, Giuntina 1996. Il libro è ammesso al prestito e reperibile presso la biblioteca alla collocazione 945.41 VER MUZ

giovedì 5 luglio 2018

L'abbazia di Pomposa

(foto tratta dal sito Genius Camping)
L'antico monastero benedettino di Pomposa sorge sull'asse viario della Romea, strada di epoca tardo antica, parallela alla via romana Popilia che collegava l'esarcato con Venezia.
Eventi climatici favorevoli avevano permesso fra il VI e il VII secolo l'insediamento di un gruppo di monaci benedettini provenienti da Ravenna. Recenti emergenze archeologiche (1962) datano il primo nucleo ai primi decenni del secolo VI, in probabile contemporaneità con Santa Maria in Padovetere.
La prima notizia scritta su Pomposa è però dell'anno 874 e riguarda una controversia giurisdizionale tra il Vescovo di Ravenna ed il Papato; in questo diploma papa Giovanni VIII precisa a Ludovico II che il «monasterium sancte Marie in Comaclo quod Pomposia dicitur ... iure proprio retinemus».
Un diploma di Ottone I emesso nel 962 su suggerimento di papa Giovanni XII riconosce il monastero di Pomposa alla diocesi di Comacchio, a probabile prevenzione di pretese avanzate da parte degli arcivescovi di Ravenna.
Nel 982 Ottone II la aggrega a San Salvatore di Pavia, di ambito cluniacense; anche questo potrebbe essere un tentativo di metterla al riparo dalle pretese ravennati. I monaci non sembrano gradire l'abbinamento e fanno ricorso all'arcivescovo di Ravenna. Nel 999 un atto di Ottone III formalizza questa opzione e dona il monastero alla diocesi ravennate.
Gli interessi che polarizzano l'attenzione sul monastero di Pomposa da parte del pontefice, dell'arcivescovo di Ravenna, del vescovo di Comacchio e in parte forse pure dei cluniacensi di Pavia sono da ritenersi in specie legati al nodo fluviale del Volano, principale arteria d'acqua della Padania orientale avanti le rotte di Ficarolo del 1152.
Nel 1001 Ottone III visita Pomposa assieme a san Romualdo e a Bruno di Querfurt, suo cugino nonchè estensore della Vita quinque fratrum eremitarum; l'11 novembre dello stesso anno Pomposa viene dichiarata "Abbazia Imperiale". Questo diploma, oltre a sancire l'indipendenza del monastero, ammoniva tutti coloro che avanzavano pretese su Pomposa: indistintamente ferraresi, ravennati e comacchiesi, e ci dà altresì la misura di quanto fosse cresciuto il potere abbaziale nel delta del Po. Da quel momento lo sviluppo economico e spirituale dell'abbazia di Pomposa procede senza interruzioni; in particolare dopo la nomina ad abate, sostenuta dall'autorevole monaco e già abate Martino, del ravennate Guido degli Strambiati nel 1008, dopo la morte dell'abate Giovanni.
Con l'avvento di san Guido degli Strambiati ad abate di Pomposa (1008-1046) inizia il periodo più fecondo dell'abbazia benedettina: Pomposa rafforza la sua posizione giuridica ed economica, ottiene nuovi privilegi ed immunità, si assicura donazioni e contratti di enfiteusi che renderanno produttiva l'attività agricola e solido il radicamento della popolazione sul vasto territorio dell'insula Pomposiana. Aumenta in modo esponenziale il numero dei monaci, crescono di pari passo donazioni e privilegi, anche nelle limitrofe zone del Veneto e della Romagna; finalmente un diploma di conferma datato 22 giugno 1022 ne sancisce autonomia e autodeterminazione.
Da questo momento la crescita in ricchezza e prestigio dell'abbazia proseguì molto più speditamente e l'abate Guido potè finalmente dedicarsi alla ristrutturazione del monastero e della sua chiesa, di cui celebrò la riconsacrazione il 7 maggio del 1026.
-continua-

Bibliografia essenziale:
Mario Salmi, L'abbazia di Pomposa, varie edizioni
Antonio Samaritani, Presenza monastica ed ecclesiale di Pomposa nell'Italia centrosettentrionale. Secoli X-XIV, Ferrara, Corbo 1996
Pio Laghi, San Guido abate di Pomposa, Ferrara, Corbo 2000
Marcello Simoni, Pomposa tra immagine e simbolo; lettura e suggestioni a margine del ciclo biblico trecentesco, Ferrara, Cartografica 2011

martedì 3 luglio 2018

Barbara d'Austria

Chiesa del Gesù, mausoleo a Barbara d'Austria, foto tratta da Wikipedia
Continuando la tradizione che vuole le duchesse estensi molto devote alle chiese della città, Barbara d'Austria penultima duchessa legittima di Ferrara volle essere inumata nella chiesa del Gesù. Profondamente religiosa, Barbara era figlia di Ferdinando I e di Anna di Boemia, quarta di sei sorelle. Nel 1565 sposò Alfonso II che era alla disperata ricerca di un erede per tentare di trattenere Ferrara agli Estensi; neppure questa unione si rivelò fertile (in precedenza Alfonso aveva già sposato Lucrezia Medici, dopo la morte di Barbara ritenterà con Margherita Gonzaga, senza successo).
Sebbene di sangue imperiale, da subito si offrì alla città con atteggiamento per nulla altezzoso e seppe conquistarsi in breve l'affetto del marito, della corte e del popolo tutto. L'ambasciatore veneto Contarini, descrivendo l'atteggiamento dei ferraresi verso le loro duchesse disse che «di niuna si erano contentati come di questa». All'esatto opposto della suocera, l'altera Renata, Barbara aveva subito adottato le usanze ferraresi e studiato l'italiano. La sua corte si era ben amalgamata con quella estense, ed ebbe ottimi rapporti con le cognate. Non conobbe mai di persona la suocera, perchè già ripartita per la Francia, tuttavia sono attestati rapporti epistolari improntati al massimo rispetto e filiale osservanza: la informava degli eventi di corte firmandosi «obbedientissima figliola».
Di temperamento pio e devoto, ogni giorno assisteva a tre messe; continuativamente attenta all'assistenza di poveri e bisognosi, in seguito al devastante terremoto che squarciò Ferrara nel novembre del 1570 fondò il Conservatorio per le orfane di santa Barbara, servendosi unicamente di finanze personali; fu per questo molto amata dal popolo ferrarese. Morì di malattia polmonare a soli 33 anni; durante la malattia l'ambasciatore fiorentino Bernardo Canigiani scrisse «La città tutta motu proprio prega per la sua salute giorno e notte, sine intermissione». Alla sua morte, lo stesso riferì che «il dolore per questa perdita del signor Duca, di tutti gli stati et maxime della povertà non si potrebbe mai scrivere». Anche la suocera espresse le proprie condoglianze al figlio, inviando un biglietto nel quale definiva la nuova «donna tanto amabile, per me come una figlia amatissima».
Il mausoleo che la ricorda, attribuito a Francesco Casella, venne eseguito nel 1591, ben vent'anni dopo la morte della sfortunata duchessa, seguendo in ciò i rallentamenti della fabbrica più volte interrotta. Nel frattempo le sue spoglie mortali rimasero esposte in una semplice cassa ricoperta da un drappo di velluto nero. Il busto fu probabilmente scolpito su un calco preso sul viso della defunta; la riproduzione dei lineamenti è quindi estremamente verosimile. Ai lati, due figure allegoriche su volute di marmo rosso, di cui sono fatti anche sarcofago e basamento, mentre ancora bianchi appaiono i putti, i festoni e l'aquila estense che veglia sulla lapide.

Aspettando il Giubileo

In occasione del prossimo anno giubilare 2025 sarà possibile raggiungere il centro della cristianità grazie all'iniziativa messa in ca...