venerdì 29 giugno 2018

Caterina Vegri e le nuove fondazioni a Ferrara e a Bologna

(foto tratta dal sito Ferrara nascosta)
-continua, i capitoli precedenti sono qui e qui-
A questo punto, siamo nel 1431, le sorti del nascente monastero del Corpus Domini vengono a cuore alla nobile Verde dei Pio da Carpi, la cui sorella, Taddea, aveva professato al monastero delle clarisse di Mantova. Dunque alla fondazione ferrarese concorrono anche altre monache provenienti dal Santa Paola, apportando così quelle istanze di riforma anche al monastero di Ferrara e successivamente di Bologna, anch'esso fondato e diretto da Caterina Vegri.
La definitiva sistemazione del monastero pare coincidere con il raggiungimento di una matura serenità interiore; Caterina, schiva di cariche onorifiche, fu a lungo preposta al forno, ma ricoprì pure l'ufficio di maestra delle novizie.
Fra il 1455 e il 1456, nel quadro della creazione di nuove istituzioni monastiche nell'Italia settentrionale, venne deciso che Caterina avrebbe dovuto recarsi a Bologna per fondarvi una comunità di clarisse. Vi giunse nel luglio del 1456 accompagnata da alcune consorelle - non ne conosciamo il numero, che varia da quindici a venti a seconda dei biografi - e dalla madre. La comunità si stabilì nel monastero che fu poi detto del Corpus Domini. Caterina venne subito nominata badessa, e in pochi anni riuscì a fare del monastero bolognese un centro particolarmente vivace di vita intellettuale e spirituale.
Speciale significato acquistò nell'itinerario mistico di Caterina l'ultimo anno della sua vita terrena: ad una grave malattia successe un temporaneo ristabilimento, che la vide quasi estraniarsi dalla vita del monastero per coltivare più pienamente il proprio rapporto personale col Cristo.
Morì, circondata dalle consorelle, il 9 marzo 1463. Da subito il suo corpo divenne oggetto di una venerazione capillare. Subito si sparse la notizia di miracoli compiuti grazie alla sua intercessione; prodigiosa apparve la incorruzione del suo corpo. Il culto crebbe nel tempo ed occupò largo spazio nella Bologna del Cinque-Seicento. La concessione dell'ufficio e della messa propri sono del 1524; del 1592 è l'iscrizione al martirologio, ma il processo di canonizzazione, iniziato nel 1646, si concluse solo nel 1712. Suo giorno commemorativo è il 9 di marzo.

Bibliografia essenziale reperibile presso la Biblioteca:
*Illuminata Bembo, Lo specchio di illuminazione, Firenze Sismel 2001
*Caterina Vigri, la santa e la città, a c. di Claudio Leonardi, Firenze Sismel 2004
*Pregare con le immagini: il Breviario di Caterina Vigri, a c. di Vera Fortunati e Claudio Leonardi, Firenze Sismel 2004
*Kathleen G. Arthur, Il breviario di Santa Caterina da Bologna e l'"arte povera" clarissa, in I monasteri femminili come centri di cultura fra Rinascimento e Barocco, Roma Ediz. di Storia e Letteratura 2005
e tutta la produzione di santa Caterina nelle edizioni Sismel (Rosarium; Sermoni; I dodici giardini; Le sette armi spirituali; Laude, trattati e lettere)

martedì 26 giugno 2018

Paola Malatesta e la riforma delle Clarisse


Il movimento generale di riforma delle Clarisse fu uno degli aspetti più salienti della vita religiosa del Quattrocento, specialmente in Italia, ma anche in Francia ad esempio, dove santa Colette di Corbie creò un ramo femminile riformato indipendente dai Minori osservanti e largamente autonomo nei confronti dei Conventuali, ai quali lei stessa faceva capo. Questo movimento in Italia fu policentrico, sviluppandosi in diversi monasteri senza collegamento tra loro, e durò per tutto il Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento. Erano soprattutto donne di nascita illustre e di cultura umanistica a cercare nella vita religiosa un nuovo equilibrio fra intelligenza, sensibilità e vita spirituale; dietro a loro stavano i Frati Minori Osservanti, soprattutto san Giovanni da Capistrano, che si fecero promotori di questo ritorno integrale al progetto francescano iniziale per entrambi i sessi. Non si trattò di un piano d'insieme bensì di una serie di iniziative locali che si svilupparono a macchia d'olio. I conventi interessati di fatto non abbandonarono la regola di Urbano IV ma presero misure interne per tornare a una vita più povera e rigorosa. Il movimento ebbe più successo quanto più la funzione pubblica, che l'ideologia riconosceva alle preghiere delle monache e la vigile attenzione dei principi in materia di disciplina ecclesiastica favorirono un ordinato svolgimento della vita monastica, basato su una clausura più attenta, la pratica della vita comune e l'osservanza regolare. Parecchi conventi di Clarisse furono allora riformati o fondati ex novo da alcune pie donne con l'appoggio delle casate o dell'aristocrazia comunale. Tra questi focolai di riforma stava pure il convento di Santa Paola a Mantova fondato da Paola Malatesta, nobildonna mantovana che negli anni attorno al 1418 era entrata in contatto con san Bernardino da Siena. Sarebbe stata un'esplicita richiesta del santo a dare origine al convento di Santa Paola per le clarisse francescane; alla sua fondazione Paola Malatesta provvide nel 1420. Lei stessa vi si ritirò alla morte del marito, Gianfrancesco Gonzaga. Alla sua morte volle esservi sepolta in abito monastico ed è ricordata come beata nel martirologio francescano. È ritratta nel celebre affresco di Andrea Mantegna nella Camera degli Sposi dietro a Barbara Gonzaga.

lunedì 18 giugno 2018

Caterina Vegri e gli inizi del Corpus Domini

(immagine tratta dal blog Regio Diciotto)

Figlia di Giovanni (secondo alcuni Bartolomeo) gentiluomo ferrarese al servizio dei marchesi d'Este, e di Benvenuta Mammolini, nobildonna bolognese, Caterina Vegri nacque a Bologna l'8 settembre 1413. Trascorse a Bologna i primi anni della sua vita (nota 1); tra il 1420 e il 1423 si trasferì con la madre a Ferrara. Dopo qualche tempo lasciò la casa paterna per andare a vivere a corte quale compagna di Margherita d'Este figlia naturale di Niccolò III. Le date più probabili oscillano tra il 1422 e il 1424 (nota 2).
Il periodo trascorso alla corte estense, allora uno dei più vivaci centri di cultura umanistica, fu decisivo per la formazione di Caterina. Essa vi acquisì una buona conoscenza del latino; imparò inoltre a scrivere in bella grafia umanistica, a dipingere, a miniare i codici, a suonare la viola. Intorno al 1426, in concomitanza con le nozze di Margherita, lasciò la corte per unirsi ad un gruppo di pie donne costituitosi in Ferrara nel 1406 per iniziativa di Bernardina Sedazzari e diretto allora da Lucia Mascheroni (nota 3).
I primi anni di vita di questa comunità furono molto travagliati, ne parlano dettagliatamente Antonio Samaritani nel suo Profilo di storia della spiritualità, pietà e devozione e Teodosio Lombardi nel Profilo di Caterina Vegri, al cui riassunto mi riferisco: la comunità di Bernardina Sedazzari nacque nel luogo in cui tuttora si trova il convento delle clarisse. Ma dal 1406 al 1426 non ebbe alcun rapporto con la regola di santa Chiara. In data 1 giugno 1407 il vescovo di Ferrara Pietro Boiardi rilasciò alla Sedazzari una lettera in cui si concedevano 40 giorni di indulgenza a quanti avessero contribuito alla riuscita dell'opera. Un decreto del marchese Niccolò III d'Este del 1 giugno 1413 permise alla Sedazzari e alle sue compagne ancora improfesse e non astrette a vincoli canonicali di poter acquistare beni immobili e di stipulare regolari contratti entro il limite di 500 libbre marchesane. Il 31 maggio 1419 papa Martino V autorizzò il vescovo di Bologna Niccolò Albergati ad istituire nella casa della Sedazzari una comunità sotto la regola agostiniana. Il breve papale però non ebbe seguito: le consorelle non professarono né si sottomisero alla giurisdizione del vescovo di Ferrara. Il 2 aprile 1425 la Sedazzari lasciò erede di ogni cosa la discepola prediletta suor Lucia Mascheroni; morirà poco più avanti nella stesso anno. Sotto la guida esitante e inesperta di Lucia il fragile equilibrio della comunità deflagra, le incertezze sulla via da seguire diventano più appariscenti, forse inizia a serpeggiare qualche gelosia. Una parte si coalizza attorno alla figura di Ailisia di Baldo, ostinatamente determinata a far passare la linea agostiniana; Lucia Mascheroni viene espulsa dal primitivo oratorio per iniziativa dello stesso vescovo Pietro Boiardi, ne sarà reintegrata solo nel 1426 dal consiglio marchionale (nota 4). Dopo un breve periodo di apparente tregua il dissenso riprende vigore finché, fra il 1429 ed il 1430, Ailisia e alcune suore se ne escono per attuare altrove una fondazione di agostiniane; le restanti tra cui Caterina diedero origine, nell'anno 1431, ad un monastero di clarisse osservanti intitolato al Corpus Domini, secondo la denominazione assunta fin dall'inizio dalla sede del loro ritiro (nota 5). Va forse riferito a questo periodo quel "gradissimo dolore" di cui Caterina parla nelle Sette armi spirituali.
-continua-

nota 1, sembra accertato che attorno ai dieci anni Caterina abbia ascoltato una predica di san Bernardino da Siena a San Petronio. Potrebbe essere però un calco agiografico sull'episodio di Chiara di Assisi che circa alla stessa età ascoltò per la prima volta una quaresimale di san Francesco nella piazza di San Rufino.
nota 2, la studiosa inglese Kathleen Arthur obietta che Margherita "in quanto figlia illegittima di Niccolò non poteva avere damigelle personali. Inoltre Caterina e Margherita erano coetaneee ... Caterina fu più probabilmente damigella della marchesa Parisina Malatesta, arrivata nel 1418 come seconda sposa di Niccolò II d'Este a Ferrara".
nota 3, "Nella zona di Sant'Andrea e nelle vicine di Santa Maria in Vado, San Tommaso, San Vitale rinveniremo ben presto e lì riscontreremo sino almeno alla metà del '400 numerosi centri eremitici autonomi e più tardi il nucleo più rilevante delle case per le pinzocchere che va a raggrupparsi attorno alla dimora delle oblate e degli oblati agostiniani", A. Samaritani. E' questo il nucleo più antico della città, ancora interessato dal corso del Po, nonostante sia ormai diventato ramo minore. Santa Maria "in Vado", l'antichissima basilica teatro nel 1171 del miracolo eucaristico, significa precisamente "del Guado".
nota 4, la Mascheroni si era rivolta a Niccolò III in persona per rimarcare la validità delle sue ragioni.
nota 5, Chiesa e monastero di Sant'Agostino, perduti, sorgevano nella zona tra Santa Maria in Vado e il Corpus Domini. La Chiesa, consacrata il 12 marzo 1444 dal beato Giovanni da Tossignano, era impreziosita da un'Annunciazione del Bastianino, oggi alla Pinacoteca Nazionale.

venerdì 15 giugno 2018

Le pubblicazioni del Seminario


Per le pubblicazioni del Seminario Arcivescovile, l'anno 2004 segna una data importante: viene infatti pubblicato il primo volume della collana La Chiesa di Ferrara-Comacchio tra spirito e arte. La cura del progetto, fortemente voluto da mons. Danillo Bisarello al tempo economo del Seminario, è a nome di due referenti preziosi per la cultura ferrarese, accademica e diocesana nelle persone del prof. Ranieri Varese e del compianto mons. Antonio Samaritani.
Il primo volume è precisamente a firma di quest'ultimo, e reca il promettente titolo Profilo di storia della spiritualità, pietà e devozione nella chiesa di Ferrara-Comacchio. Vicende, scritti e figure, ed è impreziosito dalla introduzione di mons. Carlo Caffarra all'epoca arcivescovo di Ferrara e Comacchio
"Ogni Chiesa locale ri-presenta il mistero di Cristo in modo proprio. Infatti, è la ragione antropologica, è costituita da uomini che nel loro insieme formano un popolo, una soggettività sociale specifica. Esiste allora di fatto una spiritualità nella Chiesa di Ferrara-Comacchio? È ciò che quest'opera monumentale si propone precisamente di mostrare".
A. Samaritani, Profilo di storia della spiritualità, pietà e devozione nella chiesa di Ferrara-Comacchio. Vicende, scritti e figure, Reggio Emilia, Diabasis 2004
Pubblicazione consultabile presso la biblioteca.

mercoledì 13 giugno 2018

La biblioteca perduta dei Certosini/2


"Alla fine del sec. XVI risultano presenti nella biblioteca della Certosa di Ferrara opere di classici: Cassiodoro, Diodoro Siculo, Emilio Probo, Erodoto di Alicarnasso, Orazio, Ovidio, Boezio, Giulio Cesare, Seneca, Cicerone, Quintiliano, Terenzio, Virginio, Strabone, Marco Aurelio; di autori cristiani: Claudiano, Egesippo, Origene, Gioacchino da Fiore, Ubertino da Casale; di letterati italiani: Petrarca (le Senili), Guarino Veronese, Boccaccio (De montibus), Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, Sannazaro, Panormita, Toscanella, Aldo Manuzio, L.B. Alberti, M. Ficino e Dante; di autori spirituali: Dionigi certosino, Enrico Susone, Guigo certosino, Giovanni Gersone, Pier Damiani, Tommaso da Kempis, Cassiano, Climaco, Taulero, Landolfo certosino, Pietro Sutore, Vincenzo certosino, del trattatista Egidio Romano; sono presenti opere di autori ferraresi: Alberto Trotti, Alessandro Ariosti, Giovanni Albini, Giovanni Maria Verrati, Francesco Visdomini, Paolo Sacrati, Bigo Pittorio, ecclesiastici trattanti materie spesso ascetiche, Giovanni Battista Giraldi e del musico Nicolò da Vicenza".

A. Samaritani, Borso d'Este, presenza certosina, spiritualità umanistica, pietà religiosa a Ferrara (2a metà del '400-1a metà del '500), in Analecta Pomposiana 31-32, Ferrara 2008
volume consultabile presso la sede della biblioteca, alle condizioni di regolamento

venerdì 8 giugno 2018

La biblioteca perduta dei Certosini/1


Il contributo di mons. Samaritani dal quale abbiamo preso spunto per narrare le origini della Certosa è ovviamente tanto più ampio e dettagliato. Vi si trova, alle pp. 84-85, anche una ricostruzione della biblioteca, che dovette essere cospicua, come ogni biblioteca monastica del tempo. Seguiamo l'elenco riportato dall'insigne studioso in Analecta Pomposiana.
"A differenza della Biblioteca quattrocentesca della Certosa di Pavia per la quale è possibile raggiungere un centinaio di manoscritti, per quella di Ferrara, al di là dei pochi codici individuati dal Fava (1949), dal Leccisotti (1970), dal Gargan (1998, 2002) e dalla Bonazza (2002), non ci è permesso che volgere uno sguardo retrospettivo sull'Index della Biblioteca certosina di Ferrara redatto alla fine del Cinquecento (ms. Vaticano latino 11276, cc. 531r-546r) e su i due scarni elenchi di libri prestati a Giusto Calza nel 1484 (n. 6) e nel 1486 (n. 11) e già della biblioteca dell'umanista Francesco Marescalchi giunta in proprietà della Certosa per lascito testamentario di questi (a. 1482).
Nel primo elenco del 1484 rinveniamo l'Esposizione del Paradiso di Dante probabilmente di Benvenuto da Imola, le Epistole forse di Poggio Bracciolini, le Leggi di Platone, la Retorica di Aristotele tradotta da Giorgio Trebisonda, il Commento a Valerio Massimo di Benvenuto da Imola; nel secondo elenco del 1486 la Somma di Enrico di Susa detto l'Ostiense, lo Speculo giudiziale di Guglielmo Durante, lo Scotello (il Commento sentenziario di Pietro dell'Aquila), la Monarchia di Dante, otto quaderni delle Operette di Battista Alberti, un vocabolario greco-latino. 
Nell'Index cinquecentesco si rilevano complessivamente opere di carattere religioso (Bibbie, testi patristici, liturgici, teologici, spirituali e canonistici). L'assenza quasi totale di autori di ascesi certosina sino al 1522 come Dionigi certosino (1402-1471) e Landolfo di Sassonia (1310-1370) non si spiega se non con l'alienazione di precedenti codici di questi imprescindibili autori e la corrispondente commutazione degli stessi (ciò che si verifica pure per la letteratura classica greco-romana) in libri stampati sin dai primordi della nuova arte, operazione avvenuta avanti il 1482 e massicciamente compiutasi per tutto il cinquecento. Non è infine da trascurare la transazione intervenuta nel 1489 tra la Certosa e Giusto Calza, che non sappiamo come verificatasi"
-continua-

mercoledì 6 giugno 2018

Alle origini della Certosa

(foto tratta dal sito Italia in foto)

Borso d'Este, figlio illegittimo che Niccolò III ebbe dalla favorita di corte Stella de' Tolomei, ultimo marchese e primo duca di Ferrara, fu principe molto pio. Stefania Macioce, storica dell'arte che si è occupata a fondo e con grande accuratezza di tematiche religiose nella pittura ferrarese, evidenzia questa componente devozionale nella figura del duca titolando significativamente un suo studio su Schifanoia Il trionfo del preux chevalier Borso d'Este. Qui afferma: "la principale virtù cavalleresca di Borso è la fede; non vi è nulla infatti che egli intraprenda senza porsi sotto la protezione divina".
Borso dunque assume il potere l'1 ottobre 1450; già nel secondo anno di reggenza, il 23 marzo 1452 prende contatto con la casa madre dei Certosini a Grenoble ed esattamente un mese dopo pone la prima pietra del complesso monastico, benedetta dal vescovo della città Francesco dal Legname.
È ipotesi di Antonio Samaritani che il primo germe del patronage di Borso nei confronti dell'ordine si annidasse nell'incontro del futuro duca con il cardinale certosino Niccolò Albergati, attestato a Ferrara nel 1438 per officiare l'apertura solenne del Concilio di Ferrara-Firenze.
Già il 17 ottobre 1452 è documentata la prima spesa sostenuta dal duca per la erigenda Certosa; altre ne seguono ravvicinate nel tempo. Nel 1459 Borso dota la Certosa di beni immobiliari per dodicimila ducati, che rendevano al tempo del Guarini diecimila scudi annui. 
Il 6 maggio dello stesso anno il Capitolo generale dei monaci di Grenoble accoglie formalmente la richiesta di Borso e autorizza il priore della Certosa di Firenze a prendere possesso del Monastero, della sua amplissima dotazione e della chiesa, ancora incompleta. Il tutto viene solennemente formalizzato il 24 giugno 1459. 
Il 20 agosto dalla Chartreuse frate Francesco priore generale annuncia a tutto l'ordine che nella città di Ferrara il duca Borso ha eretto un nuovo monastero, dedicandolo a Santa Maria e a San Cristoforo. Su istanza dello stesso duca, il generale vi destina come priore Filippo, già alla domus di Firenze. La comunità risulta formata di nove membri più un converso.
Il 26 marzo 1461 Michele Savonarola, nonno di Girolamo, dedica ai monaci della Certosa il suo Confessionale.
Borso muore il 19 agosto 1471 ma la tradizionale benevolenza ducale nei confronti della Certosa viene rinnovata anche dal suo successore: il 19 ottobre dello stesso anno Ercole I conferma con lettera tutti i privilegi e le esenzioni concesse in vita da Borso; altre significative donazioni sono datate al 1472, -74 e -75.

Bibliografia:
A. Samaritani, Borso d'Este, presenza certosina, spiritualità umanistica, pietà religiosa a Ferrara (2a metà del '40-1a metà del '500), in Analecta Pomposiana 31-32, Ferrara 2008
S. Macioce, Schifanoia e il cerimoniale: il trionfo del "preux chevalier" Borso d'Este, in Atlante di Schifanoia, Modena, Panini 1989
Entrambi i contributi sono consultabili in biblioteca alle condizioni di regolamento

lunedì 4 giugno 2018

Ancora su Sant'Adalberto in Pereo e i "Quinque fratres"



"L'oratorio dedicato a S. Adalberto fu fatto edificare da Ottone III presso l'eremo nel quale si era stabilito Romualdo con alcuni compagni. Se vogliamo prestar fede alla documentazione pervenutaci regestata nel fascicolo contenuto nel volume n. 643 dell'ASR, la costruzione sostituiva una preesistente struttura: la chiesa di S. Cassiano. Tale edificio è verosimilmente da riconoscersi come il primitivo luogo di culto degli eremiti. Stando ai tre ristretti datati al 1001 parrebbe che l'8 maggio l'oratorio intitolato a S. Adalberto non fosse ancora in essere, in quanto si fa riferimento all' "eremo... di S. Cassiano", e che il nuovo luogo di culto, inaugurato nel mese di dicembre, non sostituisse la preesistente chiesa, poichè ivi si celerò la cerimonia di dedicazione. Purtroppo le ricerche finalizzate a reperire altra documentazione circa la chiesa di S. Cassiano non hanno dato, per ora, alcun risultato soddisfacente.
L'oratorio dedicato a S. Adalberto si inseriva in quel nutrito gruppo di costruzioni commissionate dall'imperatore e dedicate al fraterno amico Adalberto, arcivesco di Praga martirizzato nel 997. La fondazione assumeva un ruolo fondamentale nell'ambito della vita religiosa dell'Europa del tempo in quanto uno dei primi nuclei cenobitici sorti nei luoghi in cui si era sviluppata l'esperienza eremitica di Romualdo. L'edificio di culto doveva essere legato ad altre strutture, delle quali, tuttavia, non abbiamo alcuna informazione.
Malgrado l'origine del cenobio fosse di non poco momento, dopo qualche tempo iniziò per il complesso una fase di totale decadenza, secondo la leggenda a causa della presenza di un abate indegno al punto tale da non avere nemmeno il nome tramandato dalle fonti. Per questo motivo il nutrito gruppo di compagni di Romualdo ben presto abbandonò il Pereo. Bruno di Querfurt e un compagno tedesco si ritirarono in un eremo poco distante, Benedetto (che sin dall'inizio dell'esperienza aveva condiviso la cella con Bruno) e Giovanni partirono in missione per le regioni dell'Est dell'Europa, seguendo le tracce del martire Adalberto, e lo stesso Romualdo, sul finire del 1001, forse per sopraggiunti dissapori con l'imperatore, si allontanò dal Pereo per raggiungere l'Istria.
Venuto a mancare l'eremo, S. Alberto divenne una abbazia".

Paola Novara, S. Adalberto in Pereo e la decorazione in laterizio nel ravennate e nell'Italia settentrionale (secc. VIII-XI), "Documenti di archeologia", 3, Mantova, Padus 1994
Volume consultabile solo in sede, alle condizioni di regolamento.

In Umbria, un G7 sui temi dell'inclusione e disabilità

  E' in pieno svolgimento in Umbria l'incontro del G7 sul tema " Disabilità e inclusione ". Per l'Italia parlerà Aless...