venerdì 26 febbraio 2021

Altissima povertà: un testo di G. Agamben sulle regole monastiche

Chi ha amato le dissertazioni teologiche che così densamente animano il "Nome della rosa", certamente troverà utili approfondimenti nel testo che Giorgio Agamben ha dedicato alla relazione tra vita e regola nel monachesimo occidentale: Altissima povertà. Regole monastiche e forma di vita, Vicenza, Neri Pozza 2012, particolarmente al capitolo 3, "Altissima povertà e uso", laddove si fa riferimento ai testi di Bonaventura, Ubertino da Casale, Michele da Cesena. Ovviamente non è argomento da cui estrapolare poche righe, come facciamo di solito, ma per invogliare il lettore alla consultazione proponiamo comunque un breve estratto dal primo capitolo, "Nascita della regola", in particolare riferimento alla scansione delle ore:

«Horologium è il nome che, nella tradizione orientale, designa significativamente il libro che contiene l'ordine degli uffici canonici secondo le ore del giorno e della notte. Nella sua forma originaria, esso risale all'ascesi monastica palestinese e siriaca fra il VII e l'VIII secolo. Gli uffici della preghiera e della salmodia vi sono ordinati come un "Orologio" che segna il ritmo della preghiera dell'alba (orthros), del mattino (prima, terza, sesta e nona), del vespro (lychnikon) e della mezzanotte (che, in certe occasioni, durava tutta la notte: pannychis). Questa attenzione a scandire la vita secondo le ore, a costituire l'esistenza del monaco come un horologium vitae, è tanto più sorprendente, se si considera non soltanto la primitività degli strumenti di cui essi disponevano, ma anche il carattere approssimativo e variabile della stessa divisione delle ore. Il giorno e la notte erano divisi in dodici parti dal tramonto del sole all'alba. Le ore non avevano pertanto, come oggi, una durata fissa di sessanta minuti, ma, tranne agli equinozi, variavano secondo le stagioni, e quelle diurne erano più lunghe in estate (nel sostizio raggiungevano gli ottanta minuti) e più corte in inverno. La giornata di preghiera e di lavoro era dunque, in estate, il doppio di quella invernale. Inoltre gli orologi solari, che sono in quest'epoca la regola, funzionano solo durante il giorno e con cielo sereno, per il resto del tempo il quadrante è "cieco". Tanto più il monaco dovrà atteneresi indefettibilmente all'esecuzione del suo officio: "Quando il tempo è nuvoloso", si legge nella Regola del maestro "e il sole nasconde al mondo i suoi raggi, tanto nel monastero che in viaggio o nei campi, i fratelli stimeranno il trascorrere del tempo calcolando mentalmente le ore (perpensatione horarum) e quale sia l'ora, compiranno il loro ufficio consueto e anche se sia in ritardo o in anticipo di un'ora l'opera di Dio (opus Dei) non sarà trascurata, dal momento che, per l'assenza del sole, l'orologio è cieco".

mercoledì 24 febbraio 2021

Verso l'ignoto. Donne moderniste di primo Novecento. Presentazione on-line

 

Si terrà domani 25 febbraio alle 18 la diretta fb sulla pagina del Coordinamento Teologhe Italiane, e sulla piattaforma Zoom fino a capienza, la presentazione del volume "Verso l'ignoto. Donne moderniste di primo Novecento", curato da Roberta Fossati, socia fondatrice della S.I.S., Società Italiana delle Storiche.

Mariangela Maraviglia sulla sua pagina in Academia lo presenta così:
«Gli anni che collegano e differenziano i secoli XIX e XX sono ricchi di fermenti ideali, ecclesiali e politici. Il fenomeno modernista incrocia tutto questo e svela al complessità delle sue istanze di riforma ecclesiale e riformulazione teologica, di trasformazione civile e articolazione pedagogica. Le donne vi sono coinvolte a molti livelli: nella relazione di amicizia testimoniate negli epistolari, nelle iniziative educative e solidali, nella letteratura impegnata, nel sogno di un diverso rapporto fra i sessi, nell'ideale di autenticità religiosa al di là delle barriere confessionali. In una ricca trama biografica, letteraria e geografica si incrociano nomi noti o poco conosciuti come quelli di Dora Melegari, Adelaide Coari, Antonietta Giacomelli, sorella Maria di Campello, Teresa Pioli, Maria Montessori. Altre novellatrici e intellettuali, giornaliste e poetesse, educatrici e scrittrici per l'infanzia formano una galassia che resta in parte sommersa. In questo studio riescono non solo a emergere, ma anche a mostrare le connessioni che ne fanno una sorta di comunità solidale. Un racconto avvincente pieno di volti e di memorie e ricco di sogni, che è al tempo stesso un valido strumento di ricerca e di ricognizione bibliografica».


Verso l'ignoto. Donne moderniste di primo Novecento, Firenze, Nerbini 2021

lunedì 22 febbraio 2021

Con padre Vannucci "Nel cuore dell'essere"

 


Padre Giovanni Vannucci, servita, è una delle figure che più incarnano lo spirito del Concilio Vaticano II, nonostante difficoltà e fraintendimenti che ne hanno affaticato la ricezione. Presenza luminosa nella spiritualità del Novecento, ne troviamo testimonianza nelle numerose raccolte di prediche, riflessioni, consigli spirituali.
Leggiamo poche righe da una sua omelia del 16 maggio 1976, significativamente titolata Diffondere, come la pianta, bellezza, pace, libertà, silenzio.

«Non possiamo pretendere che la linfa di Cristo percorra la coscienza umana se noi che crediamo non ci trasformiamo nella realtà di Cristo. Siamo i nuovi sali che Cristo ha introdotto nella coscienza degli uomini, i nuovi glucosi. Come la linfa che Cristo porta alla coscienza dell'uomo e il nutrimento che la linfa porta alla pianta; come la linfa che Cristo comunica alla nostra coscienza e che noi dobbiamo far vivere. Allora che cosa dobbiamo fare per essere cristiani: dobbiamo stare a terra? No. Dobbiamo stare in alto? No. Tendere con impegno totale e risoluto alla conquista dello spirito? No.
Dobbiamo riordinare la nostra vita e cominciare, come la pianta, a diffondere bellezza, pace, libertà, silenzio.
E che bisogno c'è di silenzio! Nei giorni scorsi ho avuto ospiti alcuni frati, impegnati nella ricerca spirituale. Sono, mi sono accorto, nevrotici e discorsivi. In noi c'è il cervello, uno strumento molto importante; ma al di là del cervello, al di là delle cose che pensiamo, c'è il silenzio, la nostra mente, che dev'essere creatrice. Ed è creatrice quando coglie l'essenza delle cose, il mistero delle cose. E quando lo coglie non fa lunghi discorsi concatenati, ma tace. E l'uomo mette a posto un sasso, mette a posto una pianta, mette a posto un mobile mal collocato, pulisce una stanza, adorna di bellezza l'ambiente e la città in cui vive; quando parla, il suo parlare è carico della potenza che viene dal silenzio interiore, dall'equilibrio interiore che ha raggiunto».

G. Vannucci, Nel cuore dell'essere. Prediche alle Stinche, Milano, Mondadori 1998, p. 71.

martedì 16 febbraio 2021

Ermes Ronchi sulla preghiera

 


Ermes Ronchi è conosciuto ai più per il suo avvicendamento a Raniero Cantalamessa nella conduzione della rubrica Le ragioni della speranza, appuntamento del sabato all'interno del programma RAI A sua immagine che completa il suo palinsesto la domenica mattina.
È altresì figura interessantissima della riflessione spirituale contemporanea che si pone alla confluenza delle sensibilità di padre Vannucci e di David Maria Turoldo.
Leggiamo insieme qualche riga da Dieci cammelli inginocchiati, Milano, Paoline 2011; segnatamente, a p. 107:

«Quando vuoi pregare, entra nel segreto» (Mt 6,6)
"Entra nella camera più nascosta. Secondo tutta la tradizione dei Padri del deserto, la camera più nascosta è il proprio corpo. «La cella del monaco sono i limiti stessi del suo corpo. Là c'è la sede della sapienza» (Giovanni Climaco).
In questo loghion di Gesù, oltre all'interpretazione immediata, quella di non apparire ma di essere, entra in gioco la vita interiore che si collega al deserto e al silenzio.
«Poco a poco, al di là delle forme secondarie, la preghiera deve farsi attesa di Dio. Vuoto attento, raccolto, amante. Niente di esteriore corrisponde ormai a una tensione interiore» (Simone Weil).
Povertà. Il Nada di Giovanni della Croce e Teresa d'Avila.
La nostra preghiera deve essere attesa di Dio, fino a che egli venga e penetri in essa, attraverso tutte le sue soglie, le sue vie, i suoi sensi.
Giovanni Cassiano spiega come pregare in segreto: «Ecco come compiere il precetto della camera segreta. Noi preghiamo nella nostra camera quando ritiriamo il cuore dal tumulto dei pensieri e delle preoccupazioni, e in una specie di colloquio segreto e di dolce amicizia, noi sveliamo al Signore i nostri desideri. Preghiamo con la porta chiusa quando invochiamo, senza aprire le labbra, colui che non tiene conto delle parole, ma guarda al cuore» (Conferenze, IX, 35)".

venerdì 12 febbraio 2021

Annick de Souzenelle e Il simbolismo del corpo umano


Annick de Souzenelle è una studiosa di spiritualità che fa particolare riferimento all'interpretazione letterale ebraica delle Scritture. Prima che scrittrice, è stata infermiera e psicoterapeuta. Da questo approccio nasce Il simbolismo del corpo umano, rilettura dello schema corporeo alla luce delle analogie con l'albero della vita e le lettere ebraiche. Testo di non immediata comprensione, ad una lettura più profonda offre tuttavia uno sguardo inusuale sul simbolismo recondito contenuto nelle scritture sacre. Il legame con le lettere dell'alfabeto ebraico è ovviamente strettissimo, e questo va tenuto presente quando ci si voglia addentrare nella lettura, ma le spiegazioni dei nessi numerologici e figurativi abbondano, e questo ne facilita l'assimilazione.
Riprendiamo qui un passo tra i più abbordabili, per il riferimento all'episodio della lavanda dei piedi contenuto nel vangelo di Giovanni che tutti conosciamo.
Leggiamo da pagina 107:
«È classico vedere nel gesto di Cristo che lava i piedi degli apostoli il simbolo per eccellenza dell'umiltà di colui che, sebbene maestro, si fa servo.
Certo. Ma c'è molto di più.
Prima di tutto, rimettiamo questa scena nel suo contesto: il Cristo compie questo gesto prima di mettersi a tavola per celebrare la pasqua, cuore stesso del mistero. Nelle nostre società funzionali, che non hanno più alcun senso del simbolo, sono le mani ad essere lavate prima del pasto. Quando Pilato si lava le mani, vuole dire che non vuole conoscere. Le mani, l'ho detto e lo studieremo più avanti, sono simbolo della conoscenza. "Non voglio saperne, non voglio immischiarmi, non ho competenza alcuna a suo riguardo", vuol dire Pilato declinando qualsiasi responsabilità. Ma prima di partecipare al pasto mistico che li introduce in anticipo al banchetto delle nozze divino-umane, gli apostoli devono essere ricondotti alle loro norme ontologiche. Cristo allora si piega davanti ad essi e lava loro i piedi, così guarisce la piaga dell'umanità, di cui i piedi sono simbolicamente portatori, in quanto potenzializzano l'essere interamente malato».

Il simbolismo del corpo umano, Sotto il Monte (BG), Servitium,  2000.

mercoledì 10 febbraio 2021

Ariel e l'albero dei cachi

Questa volta, non avendo (ancora) a disposizione il libro presentato, non possiamo leggerne qualche riga insieme, ma ci fa piacere darne segnalazione prendendo a prestito le parole della casa editrice. Si tratta del lavoro di due giovani ferraresi, Alessandro Marcigliano e Chiara Sgarbi, che parla all'infanzia per dire, in realtà, a tutti noi.


«Un bambino ebreo e la sua bicicletta nella Ferrara delle discriminazioni razziali. Ariel e l'albero dei cachi racconta la vita che scorre verso la tragedia delle deportazioni, in una Ferrara autunnale. L'autore, Alessandro Marcigliano, ferrarese di nascita, narra a partire dai ricordi familiari un momento tragico della nostra storia recente, trasformandolo in una favola commossa per ricordare tutte le bambine e i bambini vittime dell'Olocausto. Le illustrazioni di Chiara Sgarbi, anche lei ferrarese, accompagnano le parole dell'autore creando una quinta malinconica su cui corre la bicicletta di Ariel. Nel testo, una prefazione del Rabbino di Ferrara, Rav Luciano Meir Caro, e una nota dell'autore che delinea il contesto storico in cui si svolge la narrazione e i riferimenti personali che ne sono all'origine».

Ariel e l'albero dei cachi, Alessandro Marcigliano con illustrazioni di Chiara Sgarbi, ed. Anicia 2021, in uscita il 17 febbraio

lunedì 8 febbraio 2021

Matilde di Magdeburgo

 

(Immagine tratta da Wikipedia, che ringraziamo)

Nel 2008 uscì uno studio antologico dedicato a Testi mistici delle donne di Dio. Lo curava Vincenzo Noja per i tipi di Borla. Pur procedendo necessariamente per campionatura, offriva un florilegio prezioso di mistica femminile. Leggiamo assieme un breve monito di Matilde (o Mechtilde) di Magdeburgo, tratta da La luce fluente della divinità, di cui raccomandiamo vivamente la lettura (ampi stralci sono riportati qui).
Per approfondire, è possibile leggere e scaricare gratuitamente il saggio di Silvana Panciera Vedere con il cuore: Mechtild di Magdeburg sul sito Academia.edu.

IL NULLA
Devi amare il nulla,
devi fuggire ogni cosa,
devi stare sola,
non devi andare da nessuno.
Devi tendere senza posa a liberarti da ogni cosa.
Devi liberare i prigionieri e spingere i liberi.
Devi confortare i malati, e tuttavia non possedere nulla per te stessa.
Devi bere l'acqua della sofferenza e attizzare il fuoco dell'amore con il legno della virtù.
Allora abiterai nel vero deserto.
Più m'immergo nella profondità dell'umiltà senza mescolanze,
più grande la dolcezza mi disseta.

mercoledì 3 febbraio 2021

Una mistica di oggi: Odile van Deth


 

Odile van Deth, scrittrice prolifica, infaticabile protagonista del cristianesimo di base, è stata a lungo suora domenicana di vita contemplativa, ed è infatti più conosciuta con il nome religioso di suor Emmanuelle-Marie. Collabora con il gruppo Oreundici, e pubblica con le edizioni Messaggero di Padova.
Abbiamo tratto, e condividiamo con voi, qualche riga dal suo Dilatare la vita, Padova, Messaggero 2007

«La Sacra Scrittura, come e più di altri testi fondatori, ci parla della nostra vita concreta. Chi la legge per trovarvi informazioni storiche o culturali, rischia di fuorviarsi e di abbandonarla presto. A chi gli chiedeva cosa fare per "ereditare la vita eterna", Gesù rispondeva: "cosa sta scritto nella Legge?" (modo di dire: nella Sacra Scrittura). Come la leggi tu? La Parola è vivente e infonde vita, ma può anche restare lettera morta per chi la scruta senza interrogarla nella propria esistenza. Un detto rabbinico afferma che non si deve leggere la Scrittura per cercarvi cosa si deve credere, bensì per comprendere le cose che si credono. La Bibbia infatti illumina ogni situazione per chi le chiede il senso della propria vita».

martedì 2 febbraio 2021

La scomparsa di Jean-Pierre Jossua

 


Apprendiamo da un tweet delle edizioni Qiqajon dell'avvenuta scomparsa del teologo domenicano Jean-Pierre Jossua. Figura di primo piano della teologia contemporanea, aveva svolto gli studi di teologia presso la scuola di Le Saulchoir. Impossibile illustrarne esaustivamente la grandezza, invitiamo comunque i lettori appassionati di teologia ad approndirne la conoscenza, ed intanto leggiamo assieme qualche riga autobiografica da La letteratura e l'inquietudine dell'assoluto, edito nel 2005 da Diabasis.

«Quella che era la mia situazione all'inizio del mio insegnamento di teologia, trantacinque anni or sono, rappresenta efficacemente la disgiunzione totale che poteva esistere allora fra il pensiero religioso e la letteratura o gli studi dedicati a quest'ultima, così come il loro reciproco ignorarsi. A parte una certa attenzione agli aspetti letterari della Bibbia e delle opere cristiane antiche o dei testi mistici vivevo una completa schizoidia. Intendo, cioè, una giustapposizione tra il lettore appassionato che sono sempre stato, l'uomo che aveva tratto dalla letteratura una parte della sua sostanza viva e della sua riflessione sull'esistenza, e lo specialista di una teologia cristiana che pure volevo accordare alla modernità. Vedo due ragioni principali di tale cesura. La prima è universale e attiene allo stile intellettuale della teologia, che fu fin dal XIII secolo e ancora oggi continua ad essere, un discorso eslcusivamente concettuale. E ciò vale anche quando essa non è sistematica, anche nel caso di teologi d'avanguardia, anche per coloro che hanno praticato un'apertura alle scienze umane: storia, sociologia, psicanalisi, scienze delle religioni. La seconda ragione è più tipica dei paesi latini, e in particolare della Francia e gli altri paesi francofoni. La conosciamo già: è quel fossato, aperto senza dubbio nel Rinascimento, scavato profondamente dai Lumi, confermato dalla Restaurazione e dalla Rivoluzione; lo iato, insomma, creatosi tra una sub-cultura clericale e la cultura comune, che ho già evocato dicendo che era divenuto una delle componenti della "laicità". Il mondo laico, per un risentimento che in sè non è inspiegabile, si è mantenuto estraneo a interessi religiosi, mentre la sottocultura teologica, da parte sua, ha prima vegetato, poi, verso la fine del XIX secolo, ha ripreso vita e ha prosperato, a dispetto di crisi profonde (sopraggiunte ogni volta che si annunciava un'apertura, istantaneamente repressa dalle autorità ecclesiastiche) in un ambiente intellettuale piuttosto chiuso e spesso collocato in posizione difensiva»

Aspettando il Giubileo

In occasione del prossimo anno giubilare 2025 sarà possibile raggiungere il centro della cristianità grazie all'iniziativa messa in ca...