Padre Giovanni Vannucci, servita, è una delle figure che più incarnano lo spirito del Concilio Vaticano II, nonostante difficoltà e fraintendimenti che ne hanno affaticato la ricezione. Presenza luminosa nella spiritualità del Novecento, ne troviamo testimonianza nelle numerose raccolte di prediche, riflessioni, consigli spirituali.
Leggiamo poche righe da una sua omelia del 16 maggio 1976, significativamente titolata Diffondere, come la pianta, bellezza, pace, libertà, silenzio.
«Non possiamo pretendere che la linfa di Cristo percorra la coscienza umana se noi che crediamo non ci trasformiamo nella realtà di Cristo. Siamo i nuovi sali che Cristo ha introdotto nella coscienza degli uomini, i nuovi glucosi. Come la linfa che Cristo porta alla coscienza dell'uomo e il nutrimento che la linfa porta alla pianta; come la linfa che Cristo comunica alla nostra coscienza e che noi dobbiamo far vivere. Allora che cosa dobbiamo fare per essere cristiani: dobbiamo stare a terra? No. Dobbiamo stare in alto? No. Tendere con impegno totale e risoluto alla conquista dello spirito? No.
Dobbiamo riordinare la nostra vita e cominciare, come la pianta, a diffondere bellezza, pace, libertà, silenzio.
E che bisogno c'è di silenzio! Nei giorni scorsi ho avuto ospiti alcuni frati, impegnati nella ricerca spirituale. Sono, mi sono accorto, nevrotici e discorsivi. In noi c'è il cervello, uno strumento molto importante; ma al di là del cervello, al di là delle cose che pensiamo, c'è il silenzio, la nostra mente, che dev'essere creatrice. Ed è creatrice quando coglie l'essenza delle cose, il mistero delle cose. E quando lo coglie non fa lunghi discorsi concatenati, ma tace. E l'uomo mette a posto un sasso, mette a posto una pianta, mette a posto un mobile mal collocato, pulisce una stanza, adorna di bellezza l'ambiente e la città in cui vive; quando parla, il suo parlare è carico della potenza che viene dal silenzio interiore, dall'equilibrio interiore che ha raggiunto».
G. Vannucci, Nel cuore dell'essere. Prediche alle Stinche, Milano, Mondadori 1998, p. 71.
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