mercoledì 31 marzo 2021

Thomas Merton, mistico e poeta

 

Thomas Merton, monaco trappista, scrittore, viaggiatore, poeta; artista, fotografo. Tanto originale la sua esperienza spirituale, tanto vasta la sua produzione letteraria, che qualsiasi notizia ne lascia indietro altre mille. Come invito alla lettura, proponiamo appena poche righe dal suo L'esperienza interiore. Note sulla contemplazione, Cinisello Balsamo, San Paolo 2005.
«L'uomo ai nostri giorni, minacciato di rovina da tutte le parti, è anche assalito con illusorie promesse di felicità. Spesso la minaccia e la promessa provengono dalla stessa fonte politica. Tanto l'inferno quanto il paradiso sono diventati così (essi dicono), possibilità immediate qui sulla terra. È vero che l'inferno e il paradiso emotivi che ognuno di noi porta dentro di sè tendono a diventare sempre più proprietà pubblica e comune. E col passare del tempo pare evidente che ciò che abbiamo da condividere sembra essere non tanto il paradiso quanto piuttosto l'inferno che ci procuriamo a vicenda. Perchè il desiderio che nutriamo, nel segreto della nostra anima, come nostro paradiso, talvolta si trasforma in inferno di tutti quando viene offerto come soluzione ai problemi correnti. Questa è una delle caratteristiche strane della civiltà del ventesimo secolo e uno dei suoi malcontenti.
Nel bel mezzo di questo caos morale ed emotivo, psicologi popolari e maestri religiosi, gente di un ottimismo e di una buona volontà patetici, si sono fatti avanti precipitosamente in modo fiducioso ad annunciare il loro messaggio di comfort. Rararamente preoccupati dell'aldilà, buono o cattivo che sia, da uomini del nostro tempo essi vogliono far funzionare le cose proprio per noi, qui e ora. Essi vogliono che noi, a tutti i costi, siamo illuminati, edificati. Si irritano di fronte alla nostra incresciosa tendenza a vedere il lato buio della vita moderna, perchè sono in grado di immaginare che essa ha un lato luminoso da qualche parte. Dopo tutto, non abbiamo realizzato i progressi più impressionanti? Lo standard di vita non va forse crescendo ogni giorno, e fra poco potremo lavorare sempre meno per potere godere sempre più? Con un po' di autoaiuto psicologico e un minimo decenti di conformismo religioso, ci si può adattare alla vacuità di vite che sono così beatamente prive di lotta, sacrificio o sforzo. Questi consiglieri volonterosi vogliono ravvivare la nostra fiducia in tutte le espressioni di buoni sentimenti borghesi che magicamente tramuteranno il dolore in piacere e il dispiacere in gioia perchè Dio è nel suo cielo e tutto va bene nel mondo.
[...]
Se, quindi, sei impegnato a "diventare un contemplativo" probabilmente perdi il tuo tempo e ti procuri un danno considerevole leggendo questo libro. Ma se in un certo senso sei già un contemplativo (che tu lo sappia o meno, non cambia granchè), forse non solo leggerai il libro con una certa quale consapevolezza che esso fa proprio per te, ma potresti anche renderti conto di doverlo leggere, indipendentemente dal fatto che questo faccia parte dei tuoi progetti o meno. In questo caso non hai che da leggerlo. Non andare in cerca di risultati, perchè essi saranno già stati prodotti molto prima che tu sia in grado di vederli. E prega per me, perchè d'ora in avanti siamo, in qualche strano modo, buoni amici».

lunedì 29 marzo 2021

Omelie per la settimana santa: Giuseppe Angelini

 
(Giotto, Ingresso a Gerusalemme, Cappella degli Scrovegni a Padova)

È iniziata ieri, con la benedizione delle palme, la settimana della Passione di nostro Signore. Sarà una Settimana Santa molto particolare, data l'assenza dei riti collettivi così cari alla pietà cristiana, così preziosi nel loro concorrere a tenere l'attenzione sul grande Mistero che si sta per compiere. Ci aiutiamo dunque con la lettura di qualche riga tratta da un'omelia di mons. Giuseppe Angelini, teologo morale, autore fecondo e docente alla facoltà teologica dell'Italia Settentrionale. L'omelia è dedicata alla domenica delle Palme, ma la sua straordinaria attualità parla a tutti noi.
«L'aspetto più radicale della prova alla quale tutti noi siamo sottoposti e che minaccia di spogliarci di ogni fiducia è la solitudine. La vita è per tutti noi possibile unicamente a questa condizione, che l'attesa e addirittura il credito di altri nei nostri confronti la mostri praticabile. Quando invece si chiude attorno a noi il cerchio della solitudine, si spegne ogni attesa nei confronti del futuro, si spegne dunque la speranza, minaccia di rimanere nell'animo soltanto lo spazio per un inquietante desiderio di silenzio. Per parlare a chi vive questa prova della solitudine e del silenzio Gesù stesso dovette personalmente viverla. Nel racconto di Marco appare particolarmente evidente il tratto della progressiva solitudine alla quale Gesù è condannato; tutto pare cospirare a scavare un profondo intervallo di silenzio tra il Crocifisso e la moltitudine che sta intorno.
Vogliono Gesù solo innanzitutto i sommi sacerdoti e gli scribi, i quali cercavano il modo di impadronirsi di Gesù con inganno, per ucciderlo. Avevano bisogno di un inganno, perchè farlo allor scoperto, e addirittura durante la festa di Pasqua, li avrebbe esposti al rischio di un tumulto di popolo.
Il popolo non ci deve essere, non deve in alcun modo sapere.
Ma non è in ogni caso fatale che così accada, a prescindere dai propositi di sacerdoti e scribi? No, non è ineluttabile; pochi giorni prima, quando Gesù era entrato in Gerusalemme, si era radunata una folla. Quanto numerosa? Non sappiamo, ma in ogni caso una folla sufficiente per far temere tumulti. Il processo di Gesù e la sua conseguente passione hanno bisogno di censura».
da Andiamocene altrove - Omelie dell'anno B, Milano, Glossa 2008

Chi fosse interessato a conoscere l'intera omelia, può fare richiesta del pdf scrivendo a: stefania.biblioteca@gmail.com

giovedì 25 marzo 2021

Il Seminario celebra la sua festa!

 

Oggi, 25 marzo, il Seminario celebra la sua titolazione: è infatti dedicato all'evento salvifico dell'Annunciazione. Ripercorriamone cursoriamente un po' di storia. 
La sua prima sede fu quella santa Giustina, in fondo all’odierna via Garibaldi, la cui chiesa, antichissima, era stata eretta dai monaci benedettini cassinesi alle dirette dipendenze del cenobio benedettino di santa Giustina a Padova.
Al momento della destinazione a Seminario, l’edificio conservava ancora traccia di un ospedale per infermi, che era stata la prima sede nella quale Barbara d’Austria aveva radunato le ragazze rimaste orfane o disperse dalla famiglia in seguito al terremoto del 1570, per le quali poi la stessa duchessa fonderà il conservatorio di santa Barbara nella zona di corso Giovecca.
Nel 1584, in ottemperanza alle costituzioni del Concilio di Trento (1545-1563) il vescovo Paolo Leoni ottiene da papa Gregorio XIII l’autorizzazione ad istituire il Seminario.
Il successore del vescovo Leoni, cioè Giovanni Fontana, il vescovo che più di tutti incarnava le istanze di san Carlo Borromeo, diede un grande impulso allo sviluppo dell’istituzione ampliando gli edifici e acquistando l’orto in una zona contigua.
Il vescovo Fontana è peraltro responsabile dell’istituzione di un organismo collaterale a quello seminariale, cioè il collegio dei “chierici turchini”. Essi costituivano la “riserva” dei candidati, ed affiancavano i seminaristi nel servizio liturgico della Cattedrale.
Il 22 luglio 1584, domenica IX dopo la Pentecoste, 14 putti rivestiti di tonaca rossa prendono possesso della loro casa di formazione. Per chi ne ha curiosità, il bel libro di mons. Tiberio Bergamini ne riporta i nomi uno per uno. 
Il primo sacerdote ad uscire dal seminario locale è don Pietro Anti, ordinato il 23 settembre dello stesso 1584. Dalla seconda visita pastorale di Giovanni Fontana apprendiamo che don Pietro Anti nel 1597 era parroco ad Albarea, parrocchia che solo l’anno precedente era stata separata da Ducentola. Questo paese che dista circa 18 km da Ferrara è importante perché vi si tenne nel medesimo 1584 la prima giornata pro Seminario, che per la cronaca rese «due sacchi di formento per l’amor di Dio».
Nel 1721 il cardinal Ruffo decise di trasferire la sede del seminario nell’antico palazzo Costabili-Trotti a motivo della sua vicinanza con la cattedrale, dove i seminaristi dovevano attendere alle celebrazioni liturgiche. 
Il card. Marcello Crescenzi nel 1755 lo amplia con l’unione di un altro palazzo attiguo e di alcune case, che si trovavano verso la strada di Gorgadello, odierna via Adelardi.
Nel 1953 viene dotato di nuove aule scolastiche da mons. Ruggero Bovelli, che nel medesimo anno cura pure altri lavori di rinnovamento.
È l’arcivescovo Natale Mosconi che progetta e realizza, nel 1955-56, l’imponente edificio che ci ospita. La scelta del luogo, all’immediata periferia della città, risponde a nuove esigenze pedagogiche e numeriche. La sede viene trasferita nel 1956 e già durante l’episcopato dello stesso mons. Mosconi vengono realizzati notevoli ampliamenti nel 1961 e nel 1976.
Il seminario abita dunque questa sede da 65 anni. 
Ad maiora!

lunedì 22 marzo 2021

Salvatore Natoli sul dolore, in "Le parole ultime. Dialoghi sui problemi del «fine vita»"


All'inizio del millennio la discussione su cure palliative, etica della medicina, questione e condizioni del fine vita si fa pressante. Sono tante le pubblicazioni sul tema, e questa che presentiamo, oltre all'indiscussa qualità delle firme, ha il pregio di presentare il tema sotto forma di "vocabolario": le voci attinenti sono presentate in ordine alfabetico, e il tema viene sviluppato da uno o più autori. Abbiamo scelto alcune righe di Salvatore Natoli sul dolore.
«Viviamo in una società in cui il dolore è nascosto, non appare, o quando appare, appare male, con i tratti dell'osceno. Peraltro, nel parlare del dolore, è difficile trovare il tono giusto, perchè i sentimenti estremi, i momenti intensivi della vita si collocano sempre al di sotto o al di sopra del linguaggio. Neutralizzano le parole. Perchè si pongono al di sotto o al di sopra del linguaggio? Perchè dinanzi alla sofferenza - specie quella estrema, quella in cui ne va della vita - non c'è che dire e sia chi soffre, sia chi ne è partecipe non trova le parole. Le parole sono stonate. Per chi è nel crogiuolo della sofferenza è difficile tentare perfino una consolazione. Può persino irritare, può essere sentita come una prevaricazione, quasi a dire: "Ma tu cosa ne sai di quello che io sto patendo?". Di qui la vanità delle parole, che si spengono e insieme si moltiplicano in modo insensato. Chi è preso da un dolore estremo dice parole che esprimono l'insensatezza della propria esperienza. Però, se per un verso le parole risultano vane, per altro verso chi soffre sente il bisogno di una parola che salvi, coltiva un sentimento di attesa, dice nel gesto ciò che non riesce a esprimere con le labbra. È una muta richiesta di aiuto. Nella lacerazione si cerca la reazione giusta, la parola che, se non salva, almeno accompagni. In quel muto silenzio del sofferente v'è una tensione verso una parola che possa essere presa sul serio. Di dolore si può morire, ma se non si muore la vita può germinare dentro lo stesso dolore.
La sofferenza è in primo luogo esperienza di una perdita: è diminutio, danno. Danno e perdita che possono essere di vario tipo e natura: può trattarsi di una patologia pesante, può essere un disturbo di relazione con gli altri, con il mondo. Quando gli uomini soffrono, di qualunque cosa soffrano, si sentono impediti, mutilati, distrutti. Chi accusa un dolore è impedito nel movimento, nel gesto, il corpo è piegato. L'intensità del dolore espropria l'uomo dalla mente, lo oscura: più il dolore è acuto, meno si è consapevoli di se stessi. Il dolore estremo fa perdere la ragione.»

Le parole ultime. Dialoghi sui problemi del fine vita, Bari, Dedalo 2011

lunedì 15 marzo 2021

Padre Mariano Ballester, "La meditazione come offerta"


L'insegnamento di padre Mariano Ballester, gesuita, si colloca idealmente nel solco di quanti cercano di integrare la sapienza spirituale della tradizione orientale con la fede cristiana. Questa linea ideale comprende Giovanni Vannucci, del quale ricordiamo gli studi sull'esicasmo e sulla filocalia, Raimon Panikkar, Henri le Saux, Bede Griffiths o.s.b., tra molti altri.
Leggiamo oggi qualche riga di padre Ballester sulla meditazione:

«L'atteggiamento di continua offerta ha il suo momento forte nella meditazione, che deve porsi all'inizio della giornata. La meditazione è il momento in cui la persona fa crescere in sé e perfezione l'atteggiamento orante continuato. Nella meditazione quotidiana le energie spirituali si unificano e si aprono alla immensa realtà di Dio, si trasformano e si abituano ad essere come un alveo sempre aperto verso l'alto, invece che essere energie disperse o, peggio ancora, dirette verso di sé. Allo stesso tempo nella meditazione si impara a ricevere dall'alto le grazie necessarie per una apertura maggiore ed una più costante disponibilità al piano divino della salvezza universale. 
Meditare con questo spirito non è certo accontentarsi di cose generiche o astratte. La volontà di auto-offerta dev'essere molto concreta: si tratta di cominciare e di concludere l'esperienza meditativa con un fermo proposito che nulla si farà durante il giorno senza offrirlo a Dio e al suo piano universale. Bisogna consacrare il giorno intero, in tutti i suoi particolari, ed enumerare questi particolari, se necessario, alla luce della perenne apertura e dedizione a Dio».
Mariano Ballester, Per una preghiera continua, ed. Paoline, Roma 1983 

lunedì 8 marzo 2021

Ricordando madre Cànopi

 


Ricorre in questi giorni il secondo anniversario della morte di madre Anna Maria Canopi, benedettina, prima badessa dell'abbazia Mater Ecclesiae, da lei fondata sull'isola di San Giulio d'Orta. Mentre ne celebriamo il ricordo, rileggiamo poche brevi parole da un suo prezioso libretto, Voi mi conoscete, Lectio divina sulla vita consacrata, uscito a Roma nel 1981 per la casa editrice delle Paoline.

«L'itinerario della conoscenza di Cristo coincide con lo stesso itinerario della fede e dell'amore. L'io deve imparare a tacere e ad ascoltare; la mente deve imparare a lasciar cadere le impalcature dei suoi concetti e dei suoi ragionamenti; il cuore deve imparare la strada dell'esilio per andare lontano da tutto quanto lo tiene attaccato ai suoi vecchi e tristi amori.
Per conoscere il Cristo, e quindi conoscere il Padre, nella luce dello Spirito Santo, bisogna prima di tutto liberarsi dalle proprie categorie mentali, purificare la mente e il cuore da tutti quei modi di vedere e di sentire che sono una proiezione del nostro io o comunque un'ambigua rappresentazione del Dio trascendente. È necessario passare attraverso una esperienza di spoliazione che ci porta a toccare il fondo della nostra ignoranza e a scoprire l'infinita distanza esistente tra la nostra intelligenza e la Sapienza divina, tra i nostri pensieri e i pensierio di Dio. Questa è l'ora in cui ci si imbatte - come Mosè (cfr Es 3,2-6) - nel roveto ardente; l'ora in cui ci si rende conto di non poter avanzare, così vestiti e calzati come si è, nella terra santa che ci sta davanti, e si sente perciò l'esigenza di lasciar cadere, fino all'ultimo lembo, tutto il rivestimento fittizio che ci fa da schermo, per presentarci totalmente indifesi al fuoco divorante della Verità. Può essere anche l'ora in cui - come Abramo (Gn 15,12) ci si sente colti all'improvviso da un mai sperimentato "torpore", da un "oscuro terrore", che è il fremito della nostra fragile natura toccata dal divino, caduta nelle mani del Dio vivente. Nella misura in cui ci si sente chiamati e totalmente visti, conosciuti da colui che è Presente, si ha la percezione del proprio nulla. Ma a poco a poco si va scoprendo in lui il senso e il valore unico della propria esistenza in mezzo alla sterminata moltitudine delle altre creature. E si intuisce, nell'intimo, il peso di quel nome, l'importanza di quell'unico e irrepetibile incontro che pone un sigillo su di noi, un sigillo che è come una ferita profonda; un dolore e una gioia senza nome, che hanno il sapoere indefinibile e insieme inconfondibile dell'esperienza del mistero divino».

martedì 2 marzo 2021

Universalità del messaggio di Raimon Panikkar


La speculazione filosofica e teologica di Raimon Panikkar si colloca alla confluenza tra esperienza cristiana e indù. La sua peculiare formazione ecumenica ne fa un protagonista di primo piano del dialogo interreligioso. Per illustrare l'universalità della sua vocazione, la biografia riportata nel sito ufficiale usa queste parole:
«Nell'Induismo e nel Buddhismo egli aveva trovato altri linguaggi, oltre l'ebraico biblico, la filosofia greca e il cristianesimo latino, per esprimere le convinzioni di fondo (il kerigma) della tradizione cristiana».

Dalla sua sterminata produzione libraria, leggiamo poche parole contenute in Vita e parola, Milano, Jaca 2010; segnatamente, al paragrafo L'esperienza vedica. Mantramanjari:
«Una delle più stupende manifestazioni dello Spirito è indubbiamente quella che ci è pervenuta sotto il nome generico di Veda. L'Epifania vedica appartiene all'eredità dell'uomo, e come avviene nel caso della maggior parte dei valori religiosi e culturali dell'umanità, si è più fedeli alla sua vocazione più profonda se la si condivide fraternamente con l'intera umanità, piuttosto che limitarsi a preservarla scrupolosamente come se si dovesse custodire un tesoro tenuto sotto chiave e quasi nascosto. Tale condivisione non deve però trasformarsi né in una profanazione, con il pretesto di recare profitto agli altri, ma  dovrebbe essere una comunicazione vivente, o addirittura una comunione, libera però da qualsiasi ombra di propaganda o proselitismo. Queste pagine non intendono trasmettere dunque semplici informazioni, ma un messaggio che potrebbe indurre a una trasformazione interiore. 
Questa antologia mira a presentare i Veda come un'esperienza umana tuttora valida e in grado di arricchire e stimolare l'uomo moderno nel suo tentativo di adempiere il proprio compito in un'era in cui, nel bene come nel male, la sua sorte è indissolubilmente legata a quella dei propri simili ed egli non può più permettersi di vivere nell'isolamento».

In Umbria, un G7 sui temi dell'inclusione e disabilità

  E' in pieno svolgimento in Umbria l'incontro del G7 sul tema " Disabilità e inclusione ". Per l'Italia parlerà Aless...