venerdì 29 gennaio 2021
da "L'ineffabile fraternità"
lunedì 25 gennaio 2021
Il Dio visibile. Riflessioni su cristianesimo e misticismo, di Alan Watts
venerdì 22 gennaio 2021
Le beghine
mercoledì 20 gennaio 2021
L'Anonimo Francofortese
lunedì 18 gennaio 2021
Piera Egidi incontra Adriana Zarri
Piera Egidi, filosofa, scrittrice e pubblicista, esponente di spicco della cultura valdese è pastora locale emerita. Della sua vasta produzione letteraria, presso la nostra biblioteca è possibile leggere Incontri: identità allo specchio tra fede e ragione, e il primo volume di Voci di donne: oltre il Decennio ecumenico di solidarietà delle chiese con le donne.
Proponiamo qui la sua presentazione di Adriana Zarri, figura peculiare della teologia del Novecento
«Il grande portale della casina medievale immersa nella campagna del Canavese si spalanca su un'aia magica intessuta di trine di brina. La nebbia tutt'intorno, nel sole, e quei colori dei prati, delle bacche, degli alberi, della terra, argentati nella rugiada di dicembre che è divenuta cristallo. Chi mi schiude questo spazio di perfetta bellezza è proprio lei, Adriana Zarri, che è venuta a prendermi con rara gentilezza in auto alla stazione e ha guidato con baldanza per viottoli e glebe a sobbalzi e a buche: è bella, rude, elegante, forte, semplicissima e raffinata, essenziale, scomoda. Il viso perfetto e nudo, intagliato e lievemente dipinto come una statua sacra medievale in legno, è lasciato tutto scoperto fino al collo dai capelli rialzati sulla nuca. E' un viso di quei santi severi e iracondi che non concedono nulla anche quando si offrono tutti: non posso non pensare, guardandola, a quella furia di essenzialità che pervade quel suo bellissimo libro autobiografico che è Erba della mia erba: "Sento il bisogno di semplificare, di ridurre all'essenza: spoglio, nudo, un osso". E se devo immaginarla, la immagino con la frusta che cacciò i mercanti dal tempio: una durezza androgina che smitizza ogni aspettativa melensa di buoni sentimenti, di buone parole, l'asciuttezza di chi si è pervaso del deserto, ha bruciato, o meglio è stato bruciato in ogni suo residuo inutile, poichè si è lasciato avvolgere e appartiene alla Verità».
giovedì 14 gennaio 2021
Cristina Campo sui Padri del deserto
La scrittrice bolognese Vittoria Guerrini è nota ai più con lo pseudonimo di Cristina Campo, con il quale firmò una vasta produzione letteraria fatta di poesie, lettere, commenti ai Padri della Chiesa. In questa veste appunto la leggiamo, autrice di una preziosa Introduzione a Detti e fatti dei padri del deserto, libro edito da Rusconi nel lontano 1975.
Così introduce il florilegio:
«I maestri cristiani del deserto fiorirono, esplosero in un attimo che durò tre secoli, dal III al VI dopo Cristo. Da poco Costantino aveva restituito ai cristiani il diritto di esistere, spezzando il dogma di Commodo - Christianoùs me éinai, i cristiani non siano -, e sottratto con dolcezza la giovane religione al terreno meravigliosamente umido del martirio, alla stagionatura incomparabile delle catacombe. Questo significava, evidentemente, consegnarla a quel mortale pericolo che rimase tale per diciotto secoli: l'accordo col mondo. Mentre i cristiani di Alessandria, di Costantinopoli, di Roma, rientravano nella normalità dei giorni e dei diritti, alcuni asceti atterriti da quel possibile accordo, ne uscivano correndo, affondavano nei deserti di Scete e di Nitria, di Palestina e di Siria. Affondavano nel radicale silenzio che solo alcuni loro detti avrebbero solcato, bolidi infuocati in un cielo insondabile. In realtà, la maggior parte di quei detti fu pronunciata per non rivelar nulla, così come la vita di quegli uomini volle essere tutta quanta la vita di «un uomo che non esiste» («si diceva degli Scetioti che se taluno sorprendeva la loro pratica, vale a dire arrivava a conoscerla, essi non la tenevano più per una virtù ma per un peccato»).
I detti e i fatti dei Padri - lógoi kaì erga, verba et dicta - furono raccolti in ogni tempo con estrema pietà perchè, appunto, erano quasi sempre noci durissime, inscalfibili, da portare su di sé tutta la vita, da schiacciare tra i denti, come nelle fiabe, nell'attimo dell'estremo pericolo, e inoltre i Padri rifiutavano per lo più recisamente di scrivere. Furono raccolti in pergamene: greche, copte, armene, siriache. In quelle pergamene non furono perpetuati soltanto gli oracoli e i portenti dei Padri e dei loro discepoli, ma anche quelli di certi incogniti secolari che praticavano segretamente i loro precetti e, nascosti in quelle metropoli che i Padri abominavano, fuorono qualche volta maestri ai loro maestri»
lunedì 11 gennaio 2021
DPCM, ovvero.... Detti dei Padri della Chiesa e Monastici
«I discepoli raccontavano dell'abate Bessarione che la sua vita era stata come quella degli uccelli nell'aria, dei pesci, degli animali di terra e che era stato tutto il tempo della sua esistenza in pace e senza preoccupazioni. Non aveva infatti il pensiero di una casa, né la sua anima sembrò che fosse dominata dal desiderio di un luogo in particolare, dall'eccesso di cibo, dal possesso di beni o dall'abitudine ai libri. Era libero in tutto e per tutto dalle passioni del corpo. Nutrito dalla speranza del futuro e fermo nella roccaforte della fede, egli sopportava, come un prigioniero, qualsiasi posto, resistendo al freddo e alla nudità oppure alle ustioni provocate dal calore del sole, stando sempre all'aperto. Si graffiava andando in giro su per le rocce dei deserti e gli piaceva spingersi sovente, come se andasse per mare, in vaste e inabitate regioni di sabbia. Se gli capitava di andare in luoghi più civili, dove i monaci conducono una uguale vita tra di loro, stando in comune, rimaneva fuori dalla porta, piangeva e si lamentava come uno che è stato vittima di un naufragio. E se uno dei fratelli fosse uscito, lo avrebbe trovato nella condizione di un mendico, a sedere, come uno dei poveri del mondo, e fattosigli vicino, gli avrebbe pietosamente detto: "Perchè piangi uomo? Se ti manca qualcosa di necessario a seconda delle nostre possibilità lo potrai avere. Adesso entra dentro, mangia insieme a noi e ristorati". Ma lui avrebbe risposto che non si poteva fermare sotto un tetto, prima di aver trovato i beni della sua casa, dicendo infatti che in modi diversi aveva perduto molte ricchezze: si era imbattuto nei pirati, aveva fatto naufragio, decadendo dal suo alto rango, diventando da nobile, ignobile. E l'altro, dolendosi per un tale racconto, rientrando nella cella, preso un pezzo di pane , glielo avrebbe offerto dicendo "Prendi questo, padre. Il resto te lo concederà Dio, la patria, la nobiltà, le ricchezze di cui tu parli". Ancor più addolorato, stringendo fortemente i denti, avrebbe aggiunto: "Non saprei dire se sarà possibile ritrovare ciò che io cerco dopo averlo perduto. Per adesso sono contento di rischiare ogni giorno la vita, senza avere nessuna tregua nelle mie immense disgrazie. L'unica urgenza, infatti, è che io vada continuamente errando, finchè non avrò finito la corsa"».
tratto da Detti dei Padri del deserto, a cura e con introduzione di Lucio Coco, Casale Monferrato, Piemme 1997, pp. 87-88.
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