venerdì 25 maggio 2018

Il Sacramentario gelasiano


Sacramentarium Gelasianum
e codice Vaticano Rheginensi Latino 316
vertente anno sacro 1975

Uno dei monumenti più insigni dell'arte libraria nella Francia dei Merovingi è sicuramente il manoscritto Vaticano Reginense latino 316. Il codice membranaceo riporta la copia più antica, e assieme più completa, del più antico messale romano; esso rappresenta un elemento di interesse primario per gli studiosi di paleografia precarolina e di arte altomedievale, oltre naturalmente che per i liturgisti. Jean Morin, primo studioso che lo descrisse, avanzò da subito l'ipotesi dell'origine franca del manoscritto: nel Canone del Sacramentario sono nominati san Dionigi, i santi Rustico ed Eleuterio, sant'Ilario e san Martino, e l'ufficio del venerdi santo contiene una preghiera per l'impero dei Franchi. Più specificamente Louis Duchesne, eminente filologo e presbitero parigino (1843-1922) ne ipotizzò la composizione all'interno dell'abbazia parigina di san Dionigi, perchè tra i cinque santi ricordati ben tre figurano tra i protettori dell'antica e gloriosa istituzione. Nondimeno vennero avanzate altre ipotesi, la più suggestiva delle quale è sicuramente quella proposta da Bernhard Bischoff sul finire degli anni '50 del secolo scorso: il codice potrebbe essere opera di alcune monache copiste appartenenti all'abbazia di Chelles. Infatti un gruppo di manoscritti provenienti da questo prestigioso centro scrittorio riporta negli incipit la medesima onciale usata per il Vaticano Reginense. Notre-Dame di Chelles presso Parigi fu un centro religioso e culturale di importanza primaria, governato spesso da badesse di sangue reale, legate alla corte dei Merovingi e successivamente dei Carolingi. In ogni caso il codice nasce in un centro della Francia settentrionale attorno al 750, e poi entra nell'ombra per sei secoli esatti. Verrà ritrovato nella biblioteca di Alexandre Petau, erudito bibliofilo e collezionista +1672 che raccolse in vita un'importante collezione di manoscritti, monete, libri e antichità varie, oggi confluita nel fondo Reginense della Biblioteca Vaticana
La copia anastatica presente presso la Biblioteca del Seminario Arcivescovile è quella promossa da pp. Paolo VI in occasione del Giubileo del 1975, ed è lascito di mons. Dante Balboni, protonotario apostolico, Cappellano di Gran Croce "Jure Sanguinis" ed Officiale della Biblioteca Apostolica Vaticana

mercoledì 23 maggio 2018

Bibliografia essenziale su suor Veronica del SS. Sacramento


Suor Veronica Pazzafini (1896-1964) è figura molto cara ai ferraresi. Clarissa cappuccina nel monastero di Santa Chiara delle cappuccine in corso Giovecca, si distinse per la stretta osservanza della regola vivendo nel più autentico spirito claustrale. La chiesetta delle cappuccine, che apre tuttora ogni 8 del mese per la celebrazione di una santa messa in sua memoria, ne ospita le spoglie mortali.
La causa di beatificazione è stata aperta l'8 luglio 2014 da S.E. mons. Luigi Negri.

Ampia la bibliografia consultabile presso la nostra biblioteca:
- Tanto è il bene: quasi una biografia di suor Maria Veronica del SS. Sacramento nella testimonianza di chi la conobbe, a c. di Daniele Libanori, Ferrara, pro manuscripto 2011
Esame di coscienza, Suor Maria Veronica del SS. Sacramento, introduzione e note a cura di Daniele Libanori, Ferrara, Associazione suor Veronica del SS. Sacramento 2008
- Sentii cose che non so spiegare: scritti spirituali di suor M. Veronica Teresa del SS. Sacramento cappuccina povera di santa Chiara (1920-1936), Daniele Libanori, Roma, Apostolato della Preghiera 2004
- Nota per fare i dolci, il polpettone, e le frittole dolci, etc., Suor Maria Veronica del SS. Sacramento (Maria Cesira Pazzafini), a c. dell'Associazione Suor Maria Veronica del SS. Sacramento, Ferrara 2002
- I fioretti di Sr. Veronica, Chiara Francesca Scalfi, Roma, Apostolato della Preghiera 2001
  (una seconda edizione uscì nel 2004 con premessa e nota biografica a c. di padre Libanori)
- Pensieri spirituali , suor Maria Veronica del SS. Sacramento, a c. di Tiberio Bergamini e Daniele Libanori, Ferrara, Corbo 1992
Vita di Suor Maria Veronica del Santissimo Sacramento clarissa cappuccina, Clemente da Santa Maria, Milano, Edizioni Francescane «Cammino» 1984
- Una povera cappuccina, ricca di molte virtù : vita e scritti di Suor Maria Veronica Pazzafini monaca ferrarese, Tiberio Bergamini, a cura del Monastero «S. Chiara d'Assisi» di Ferrara e del Monastero «Regina Mundi» di Lagrimone (Parma), Rovigo, Istituto Padano di Arti Grafiche 1977
- Un'Anima Angelica Francescana : Suor Maria Veronica del SS. Sacramento Cappuccina, Vittorio Felisati, Ferrara, Stabilimento Artistico Tipografico Editoriale 1969
- Ferrara madre di Santi : cenni biografici dei Santi ferraresi, Vittorio Felisati, Ferrara, SATE 1969

lunedì 21 maggio 2018

Ferrara e i longobardi: la Promissio carisiaca

(immagine tratta da Wikipedia)

La dominazione longobarda a Ferrara iniziò probabilmente nel 751, ad opera di Astolfo.
La prima menzione del ducatus Ferrariae data al 575 e si trova nella cosiddetta Promissio carisiaca¹, documento che attesta la donazione di Pipino alla Santa Sede dei territori sottratti ai longobardi. Il documento fa parte dei Monumenta Germaniae Historica, una serie completa di fonti per lo studio dei popoli germanici e più in generale dell'Europa, dalla caduta dell'Impero romano d'Occidente al XVI secolo. Il termine qui usato, ducatus appunto, non va inteso nell'accezione successivamente adottata di feudo governato da un duca, semplicemente comproverebbe che a quel tempo il nucleo abitato era a capo di un territorio politicamente e amministrativamente organizzato. 

In questo anno 757 Pipino obbliga Desiderio a restituire Ferrara al papa Stefano II; restituzione non definitiva in quanto nelle fase concitate seguite alla caduta del regno longobardo, Ravenna nuovamente consolida il dominio sulle città emiliane, e massimamente su Ferrara, evidente area di confine e dunque di frizione tra Roma, Ravenna e il regno. Successivamente sarà Ottone II a restituire nuovamente la città alla Santa Sede nel 967 ma la difficile dialettica tra forze imperiali e papali proseguirà ancora. Solo dopo il Mille, la Ferrara politico-amministrativa si svilupperà sulla riva opposta del Po, attorno al nuovo ceto dirigente Marchesella-Adelardi che vorrà la sua cattedrale nella zona dei "nuovi" palazzi nobiliari. Sarà il vescovo filoromano Landolfo (1101-1138) grazie all'appoggio di Guglielmo Marchesella a coagulare il ceto dirigente cittadino attorno alla costruzione della nuova cattedrale, i cui lavori prenderanno il via nel 1135.
Della successiva storia di San Giorgio detto oggi transpadano (o fuori le mura) si sa pochissimo, se non che divenne una semplice pieve transpadana; rimase ai Canonici Regolari sino al 1417 quando il marchese Niccolò III d'Este la affidò ai Benedettini di Monte Oliveto, che ricostruirono completamente sia la chiesa che il monastero. 
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¹ da Carisium, nome latino di Quierzy

venerdì 18 maggio 2018

Pietro Castagno, medico impostore e ciarlatano



La foto, tratta dalla sempre preziosa Wikipedia, è di Antonio Musa Brasavola. Già, perchè di "Pietro Castagno Hispano, medico degli appestati per circa quarant'anni nella Ferrara del XVI secolo, e, come risulta dai documenti consultati, del tutto estraneo al mondo accademico", co-autore col Brasavola di una delibera sul "modo de adoprare gli olei della peste" non è reperibile alcuna immagine.
Lo cita Giorgio Gandini, in un bell'articolo sulla diffusione della peste a Ferrara che potete leggere qui, e gli dedica un ampio contributo Marcella Marighelli nel n. 1/1991 de la Pianura, dal suggestivo titolo Pietro Castagno, "gran ciarlatano" della peste a Ferrara. Seguiamone le tracce:
«Durante la furibonda epidemia del male detto "mazzucco", ossia febbri petecchiali e peste bubbonica, che a Ferrara, nel 1528, si portò via circa 20000 anime, a detta del Barotti, il nostro medico pratico o forse "gran ciarlatano" è già assunto dal Comune per il suo famoso oleum contra pestem, ritenuto tanto efficace da essere richiesto da principi, cardinali e sovrani. Un "gran ciarlatano" che, nella sua lunga vita, spilla più denaro e benefici alla Comunità di quanto guadagnino valenti professori dello Studium. Ottiene infatti il godimento del "Boschetto", un'isoletta boscosa del Po tra Mizzana e Cassana dove nella seconda metà del Quattrocento era stato edificato un lazzaretto, l'Ospedale di San Sebastiano, detto talvolta di San Rocco o "del Boschetto degli ammorbati", un enorme complesso con numerose stanze, portici, chiese, infermeria e case, che superava forse lo stesso Sant'Anna, un buon salario mensile ed il rimborso delle spese per comporre il medicamento, come risulta dallo spogli dei mandati di pagamento ai medici del Comune, dove moltissimi sono quelli emessi a suo favore almeno fino all'11 giugno 1569. 
Ciò nonostante la risposta alle aspettative dei ferraresi non è sempre adeguata ai compensi ricevuti e, nel 1549, vi furono lamentele sulla negligenza usata verso i malati, "cosicchè tutti gli infetti morirono... e il Comune, informato dalle nefandezze del suddetto Pietro, gli toglie il salario", ma evidentemente non è possibile privarsi del suo miracoloso olio, se poco dopo, nello stesso anno, gli vengono pagate 36 libbre marchesane "per robbe... per fare una compositione per lo rimedio de la peste" comprate a Bologna. Un olio che, con quello del Brasavola, doveva essere sempre reperibile, bencustodito, "in uno camarineto, in conserva, con tre chiave ... nello Officio de' Savi", per un tempestivo intervento in caso di necessità, come sancisce la citata deliberazione sul "modo de adoprare gli olei della peste". Così Pietro Castagno, conscio di essere ormai indispensabile, può permettersi tutto ciò che vuole, anche un'istanza, o meglio un dettato dal tono ricattatorio, presentata nel 1561 per ottenere il godimento del "Boschetto ... libero ed exente" per 25 anni, con la facoltà di poterlo lasciare a chi, morendo, nominerà come suo successore».

Il resto dell'articolo è consultabile in Biblioteca, negli orari e alle norme di regolamento.

lunedì 14 maggio 2018

Ben arrivato Christian!



I bibliotecari Stefania e Marcello si congratulano
con il loro team-manager Stefano e la carissima Lara
per il lieto evento





venerdì 11 maggio 2018

Adelaide Ristori

(immagine tratta dal sito www.listonemag.it)

Il cantiere denominato ex-cinema Ristori prosegue i suoi lavori, e la stampa locale ne dà conto con rigorosa puntualità, ad esempio qui, qui e qui, ma nessun cenno viene mai fatto alla legittima "titolare" del cognome, nè si sa come la città intenda - o meno - continuare a ricordarla in altro modo, trovandosi l'unica strada a lei dedicata nel quartiere periferico del Barco. 
Vero è che Adelaide Ristori non nacque a Ferrara, ma per puro caso a Cividale del Friuli, "dove la compagnia teatrale dei genitori si trovava per una serie di recite". Seguo qui il prezioso ricordo a lei dedicato da Luciano Mineo su La pianura n. 1 del 1991: "Da bambina fu educata a Ferrara presso la famiglia degli orefici Badalini che abitavano in via Borgoleoni al n. 40; questi erano parenti della madre. La casa materna si trovava sempre in via Borgoleoni ma al n. 30. Fin da giovinetta seguì il padre, dopo aver debuttato proprio nel nostro Teatro Comunale. [...] Nel 1852 tornò a Ferrara nel nostro Teatro Comunale; ricordando ai presenti di essere figlia di una ferrarese, di essere stata educata fanciulla e qui aver esordito, gentilmente si compiacque di essere considerata «nostra concittadina»".

(foto tratta dalla voce a lei dedicata sull'Enciclopedia delle donne)

Celebrata "madre della patria" nella biografia a lei dedicata da Teresa Viziano, recitava perfettamente in inglese e francese e fu instancabile e coraggiosa viaggiatrice: l'Enciclopedia delle donne riferisce che il "giro del mondo" compiuto al seguito della compagnia teatrale "la portò a sfidare i rischi dello stretto di Magellano, gli scogli delle coste cilene e i venti contrari di quelle australiane per esibirsi in città mai visitate da alcuna Compagnia Drammatica Italiana".
Se non tanto è stato scritto, è bensì ricca la sitografia su Adelaide Ristori: oltre agli articoli citati e alle consuete voci di Wikipedia e Treccani, notizie sull'attrice sono reperibili due articoli della rivista "A teatro", rispettivamente qui e qui, un contributo della rivista letteraria online Ripensandoci, un articolo sulla Stampa.
Presso la Biblioteca sono consultabili l'articolo di Luciano Mineo da cui abbiamo tratto lo spunto e un successivo contributo uscito nel n. 3/2006 della Pianura, curato dalla soprano locale Mirella Golinelli.

mercoledì 9 maggio 2018

A mille anni dal martirio: l'eredità di san Romualdo e dei Quinque fratres


Si è detto che nel 2003 il Seminario diocesano organizzò un convegno svoltosi il 15 novembre presso la sede dell'Istituto di Scienze Religiose, con successiva pubblicazione degli Atti, dedicato al millenario del martirio dei Quinque fratres
Inquadra la vicenda mons. Andrea Turazzi, oggi vescovo di San Marino-Montefeltro ma al tempo padre spirituale del Seminario, nel suo contributo al convegno:
Ricorreva l'anno 1003 quando cinque discepoli di san Romualdo, padre dei monaci camaldolesi, trovarono il martirio in terra polacca, testimoniando la loro fede in Gesù Cristo, a Miedzyrzecz, nel territorio di Zielona Gòra-Gorzow, ai tempi di Boleslao I, nella notte fra l'11 e il 12 novembre. La spedizione dei missionari era partita dalle nostre terre, precisamente da una località al confine tra Ravenna e Comacchio, ricordata con il nome di Pereo. Due missionari, Giovanni e Benedetto da Benevento erano italiani, gli altri slavi: Matteo, Isacco e Cristino (o Cristiano). La vicenda, narrata da san Bruno di Querfurt, è strettamente legata alla nostra Chiesa di Ferrara-Comacchio, benchè probabilmente poco nota ai ferraresi. Il progetto di evangelizzazione dell'Est europeo, caldeggiato dall'imperatore Ottone III e dal re polacco Boleslao, venne seguito in gran parte da san Bruno di Querfurt. Sarà lui a trasmetterci la testimonianza dei cinque fratelli in un documento di grande interesse: la Vita quinque fratrum eremitarum.
Oltre a mons. Turazzi, alla pubblicazione degli atti collaborarono Marcello Simoni, don Andrea Zerbini, don Paolo Cavallari e la scrivente, sotto il benevolo sguardo di mons. Antonio Samaritani. La pubblicazione venne patrocinata da mons. Danillo Bisarello, al tempo economo del Seminario.
Il volume fa parte del fondo locale, è quindi disponibile per la sola consultazione.

lunedì 7 maggio 2018

Vicende eremitiche nei pressi di Comacchio

(Pseudo-Jacopino, Visione di san Romualdo, XIII sec.
Bologna, Pinacoteca Nazionale)

Nel 2003, il Seminario arcivescovile dedicò un convegno e, successivamente, la pubblicazione dei relativi atti alla vicenda martiriale dei Quinque fratres. Per conoscere la storia, è tuttavia preliminare mettere in luce il profondo legame che connette san Romualdo agli insediamenti eremitici della zona di Comacchio.
Temperamento inquieto, san Romualdo entra giovanissimo nel monastero di sant'Apollinare in Classe per uscirne però quasi subito; vive una prima esperienza di solitudine nei pressi di Venezia e, dopo una parentesi di dieci anni trascorsi al monastero di Cuxa nei Pirenei, si stabilisce nella palude di Comacchio, in un luogo detto Oregario o Auregarium, presso i Lungari di Serilla (oggi Casone Serilla). Questo luogo eremitico Oregario era giuridicamente sottoposto al monastero di Santa Maria in Auregarium che diverrà Santa Maria in Aula Regia.
Inscindibile dalla vicenda umana di san Romualdo è l'amicizia che lo lega all'imperatore Ottone III di Sassonia, devotissimo alla memoria del vescovo di Praga sant'Adalberto martirizzato nel 997. Proprio questa fraterna devozione motiverà l'imperatore ad appoggiare l'edificazione di un oratorio nell'isola del Pereo, insula Perea, consacrato al nome di sant'Adalberto.
Così, nell'autunno del 1001, Ottone III e Romualdo diedero avvio all'avventura del Pereo, in dipendenza dal preesistente eremo dell'Oregario nel quale Romualdo aveva più volte soggiornato. Memore di quell'esperienza, e volendo ancorare questa nuova struttura a più solide fondamenta organizzative, Romualdo vincolò l'eremo alla disciplina del cenobio, sottoponendo i monaci ad una regola che integrava quella di san Benedetto con gli insegnamenti dei Padri del Deserto.
L'attuale Sant'Alberto sorge a Nord di Ravenna sulle antiche sponde del Po di Primaro; la sua chiesa è tuttora priorale ed il parroco conserva il titolo di "Priore del monastero di Sant'Alberto al Pereo" nonostante nè il monastero nè l'isola esistano più.
Alcuni frammenti in cotto provenienti dall'antica chiesa sono conservati nel secondo chiostro del Museo Nazionale di Ravenna.

venerdì 4 maggio 2018

Un nuovo crollo ferisce la Chiesa di San Domenico

(immagine tratta dal "Resto del Carlino" 4 maggio 2018)

Nei pressi dell'anniversario del sisma di sei anni fa (20 e 29 maggio 2012), la città si è svegliata con una ferita in più: il crollo di parte del tetto della chiesa di San Domenico.
Complesso sacro ricchissimo per storia e arte, fu sede dell'ordine dei domenicani fin dalla sua origine, e successivamente ospitò il Tribunale dell'Inquisizione. Al suo interno opere di Gaetano Gandolfi, Carlo Bononi, Giambettino Cignaroli, Luigi Corbi, Francesco Parolini e lo stesso Scarsellino.
Nel dicembre del 2000, la Ferrariae Decus pubblicò un numero del suo "Bollettino", il 17 precisamente, specificamente dedicato alla storia del complesso monumentale e alla presenza dell'Ordine domenicano a Ferrara.


Leggiamo dal contributo di Gianna Vancini: "In un compromesso del 21 maggio 1235 tra la badessa di S. Silvestro in Ferrara e quella di S. Andrea in Ravenna si concorda di assumere come giudice, per una causa di proprietà relativa alla valle di Bozzoletto, il priore dei domenicani di Ferrara.
Il docente di anatomia Giulio Muratori, seguendo il Frizzi, addirittura parla di domenicani a Ferrara quando S. Domenico era ancora in vita. Con certezza era da poco morto a Bologna il castigliano Domenico di Guzman (1221) quando i domenicani nella prima metà del XIII secolo si stabilirono a Ferrara dove costruirono una piccola chiesa, in cui cominciarono a seppellire i loro morti dal 1252.
La tradizione riferisce che la prima chiesa dedicata al grande Santo, per interessamento della nobile famiglia Giocoli e a spese della comunità, venne costruita nel luogo in cui sorgeva la casa di un ortolano, nelle vicinanze del palazzo Gruamonti, luogo in cui una notte si trattenne a pregare S. Domenico, di passaggio per Ferrara. In un anonimo manoscritto conservato alla Biblioteca Ariostea si conferma che la prima chiesa e l'annesso chiostro furono costruiti già prima del 1239 e la loro istituzione prevedeva un priore dei frati predicatori ed un inquisitore".

mercoledì 2 maggio 2018

Cultura ebraica al "Sognalibro"


Oggi pomeriggio alle ore 18 presso la libreria "Sognalibro" in via Saraceno 43 si terrà una conversazione sul tema "Uno sguardo dentro il ghetto".
Laura Graziani Secchieri e il rabbino Luciano Meir Caro proporranno una ricostruzione storica della vita quotidiana all'interno del ghetto, con particolare attenzione alla rappresentazione delle sinagoghe e dei cinque portoni che lo richiudevano, trattando inoltre le trasformazioni architettonico-urbanistiche realizzate durante la segregazione. Verranno inoltre presentati i recenti studi sulla figura del rabbino e medico Isacco Lampronti.

Domenica 6 maggio seguirà una passeggiata alla scoperta degli interni del ghetto.

per info: 0532 204644 oppure info@sognalibro.com

In Umbria, un G7 sui temi dell'inclusione e disabilità

  E' in pieno svolgimento in Umbria l'incontro del G7 sul tema " Disabilità e inclusione ". Per l'Italia parlerà Aless...