domenica 23 giugno 2019

La pittura dell'Orcagna nel Trecento fiorentino



Il nome con cui è conosciuto, Orcagna, quasi sinistro anagramma di arcigno, è invece la semplice trasposizione vernacolare del patronimico Arcagnuolo (=Arcangelo), e nasconde una delle più brillanti personalità dell'arte figurativa trecentesca.
Il vero nome è Andrea di Cione, ma se lo cerchiamo così da Wikipedia potrebbe uscire la biografia del Verrocchio: stesso nome di battesimo e medesimo patronimico, un secolo però di differenza.
Per sapere di lui bisogna cercare proprio così: Orcagna. Era il capocantiere della principale bottega artistica fiorentina di quegli anni, formata in pratica dai suoi fratelli; artigiani loro con picchi di altissimo livello, artista a tutto tondo lui: pittore, scultore, architetto; il Vasari gli attribuisce anche dei sonetti, composti da anziano per il Burchiello ancor giovane. Forse li vide Anton Maria Biscioni in un codice strozziano, ce ne dà notizia il Carducci nella sua edizione dei lirici minori del Trecento.
Non sono molte le opere attribuibili con certezza all'Orcagna pittore, e fra queste di sicuro la più nota è il polittico della Cappella Strozzi in Santa Maria Novella, propriamente Cristo in gloria e santi, mentre come architetto e scultore firma il maestoso Tabernacolo di Orsanmichele, qui sotto, commissionato dalla confraternita della Beata Vergine Pura Madonna Santa Maria di San Michele in Orto, la Compagnia dei Laudesi in pratica.


Tuttavia ciò che più di tutto si è conservato nella memoria degli ammiratori è sicuramente il ciclo del Trionfo della morte in Santa Croce, del quale restano pochi frammenti oggi al Museo di Santa Croce. Il frammento proposto in apertura è la più esplicita rappresentazione del mondo medievale; quei volti stralunati, scavati, quegli occhi infossati dispiegano tutta la loro evidenza consonanza con la dialettica tra vivi e morti così tipica della mentalità del Trecento. "Così, secondo la visione medievale dominante, non sono i morti a essere le ombre dei vivi, ma i vivi a essere le ombre dei morti" (Jerome Baschet, I mondi del Medioevo: i luoghi dell'aldilà, in Arti e storia nel Medioevo, vol. I, Torino 2002).
La stessa fortuna di Andrea di Cione Arcagnuolo, per quella parte che attiene al destino (e certamente in seconda battuta rispetto alla sua grandezza artistica) deve qualcosa anche alla falce della Signora che quasi dimezzò la popolazione attorno al 1348: la peste nera si era portata via infatti i migliori allievi di Giotto, Maso di Banco, Bernardo Daddi, lasciando così aperta un'autostrada per la nascente fortuna della bottega di Orcagna. 

giovedì 6 giugno 2019

Gli Estensi: l'ascesa


Tra l'Ottobre del 2003 e il Gennaio 2004 si tenne al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles la mostra "Un Rinascimento singolare: la corte degli Este a Ferrara". In concomitanza all'evento, la Fondazione Cassa di Risparmio promosse un elegante volume contenente i contributi dei maggiori storici dell'arte locale.
Leggiamo dal saggio di Gianni Venturi, "Cultura e società estensi da Nicolò II ad Alfonso":
«Alla morte del gran marchese Nicolò III (1383-1441, Signore di Ferrara dal 1393) la questione ereditaria divenne fondamentale per le sorti del principato, ipotecandone addirittura la sopravvivenza e il declino avvenuto con la devoluzione di Ferrara al papato nel 1598. Troppi eredi e scomodi se, come vedremo, Nicolò non esitò a rendere possibile l'ascesa di Leonello (1407-1450), figlio illegittimo di Stella de' Tolomei o dell'Assassino dalla quale ebbe pure Ugo e Borso, ma ciò che interessa è che dalla schiera degli eredi i favoriti, morto Ugo nella fosca vicenda del suo amore per la matrigna Parisina, furono i figli di Stella a cui venne impartita una educazione da principe. E se l'elezione di Leonello forse oggi può spiegarsi con la tenerà età del legittimo Ercole, meno poteva essere compresa e accettata dagli storici cinquecenteschi che nella scesa al potere di Leonello intuirono la minaccia divenuta reale della devoluzione, reclamata dallo stato della Chiesa proprio per la mancanza di eredi legittimi maschi. In realtà la scelta di Leonello fortemente voluta da Nicolò che lo legittima nel testamento del 1441 fa esplodere quella straordinaria situazione esclusivamente ferrarese che vede succedersi per una sessantina di anni sul trono dello stato estense ben tre fratelli la cui educazione, intelligentemente programmata da Nicolò, fa di Ferrara e della Signoria estense uno dei capitoli più affascinanti dell'Umanesimo e di ciò che ancora oggi, forse impropriamente, chiamiamo Rinascimento»

Aspettando il Giubileo

In occasione del prossimo anno giubilare 2025 sarà possibile raggiungere il centro della cristianità grazie all'iniziativa messa in ca...